una fogliata di libri
Il bagliore di una sigaretta e quei ragazzi a cavallo dei “maiali”
“L’italiano” di Arturo Pérez-Reverte è stato pubblicato da Rizzoli lo scorso anno. Il racconto potente di un’avventura che per troppo tempo è stata nascosta, perché contaminata dai peccati di quella che divenne la X Mas dopo l’8 settembre 1943
E’ il bagliore di una sigaretta quello che mi appare più vivido. E’ una scena che ho visto tante volte. Il marinaio che fuma sul ponte. Il sommozzatore in acqua che vede quel puntino luminoso e spera che il marinaio non si accorga di lui e dia l’allarme.
Tra gli scarni racconti di un vecchio che aveva trascorso il resto della sua vita rimpiangendo la guerra, quel piccolo episodio è uno di quelli che m’è rimasto più impresso. E l’ho ritrovato esattamente così nel romanzo di Arturo Pérez-Reverte “L’italiano”.
E’ la storia di uno di quegli italiani “capaci di uscire da un sottomarino o da dove escono fuori e fare quello che fanno”. Uomini che fra il 1942-43 riuscirono ad affondare quattordici navi alleate nella baia di Algeciras a cavallo di siluri a lenta corsa, noti col nome di “maiali”, in grado di trasportare due subacquei e una carica da applicare alla carena di una nave nemica.
“L’italiano” racconta una delle tante storie del reparto dei mezzi d’assalto della Marina italiana che nel marzo del 1941 assunse la denominazione di X flottiglia Mas. Un pugno di uomini, usciti dai sottomarini, a cavallo dei maiali o nuotando sott’acqua (i “Gamma” di cui faceva parte quel vecchio) che combatterono, morirono in tanti, furono feriti, fatti prigionieri, subirono sorti differenti e affondarono navi da battaglia e da carico per oltre centomila tonnellate.
E’ un romanzo storico in cui sperimenti il potere del racconto. Personalmente, a ogni pagina ritrovo ricordi, echi delle storie di quel vecchio che sino alla fine dei suoi giorni ha continuato a dichiararsi un ufficiale dei mezzi d’assalto. Nel libro risento la fatica del respirare ossigeno a circuito chiuso con l’anidride carbonica eliminata da un filtro di calce sodata, qualcosa che ti rovina i polmoni, le descrizioni di una missione, la paura, il cameratismo, l’arroganza. E poi la prigionia e, ancora dopo, i dubbi di una scelta di campo. In quel libro ritrovo nomi, parole, episodi che ho sentito per tanti anni, a volte con stupore, ammirazione altre indifferenza o fastidio. Molto spesso con l’invidia per l’avventura come modo di vivere.
Un’avventura che per troppo tempo è stata negata, nascosta. Perché fu contaminata dai peccati di quella che divenne la X Mas dopo l’8 settembre 1943, una formazione militare autonoma al fianco dei tedeschi, impegnata soprattutto nella lotta contro i partigiani. Il vecchio che mi raccontava storie di guerra considerava una bestemmia che la si chiamasse X Mas.
Mentre stavo metabolizzando i ricordi innescati da “L’italiano”, ecco che esce “Comandante” di Edoardo De Angelis e Sandro Veronesi. E’ il racconto di un’impresa di Salvatore Todaro, comandante di un sommergibile che rimorchiò i naufraghi della nave che aveva affondato. Anche di quel comandante mi parlava quel vecchio. Lo descriveva come una specie di eroe mistico, ne descriveva le doti divinatorie, il vago disprezzo con cui trattava i guerrieri da scrivania, il senso cavalleresco con cui intendeva la guerra. Appare così anche nel libro, devo ammetterlo, anche se resto con l’impressione che gli autori non sentano reale empatia col personaggio. Ma forse quest’impressione è perché quel libro avrei voluto scriverlo io. Come avrei voluto scrivere “L’italiano”.
Forse quei libri avrei “dovuto” scriverli io, raccontando ciò che mi era stato raccontato. Se solo io e quel vecchio non avessimo trascorso tanto tempo a discutere del senso della vita.
“Non possiamo giudicarli con gli occhi di adesso, non è vero? Né mio padre, né nessun altro… Dopotutto, quello fu un momento di uomini speciali”, dice uno dei personaggi de “L’Italiano”. Potrei essere io, figlio di uno dei Gamma della X Mas.
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