Un uomo di poche parole
La recensione del libro di Carlo Greppi, Laterza, 316 pp., 19 euro
Lorenzo Perone (o Perrone? L’anagrafe è incerta) entra nella Storia in un giorno di inizio estate del 1944, allorché indirizza poche parole – “Oh già, si capisce, con gente come questa” (in realtà pronunciate in dialetto piemontese, “Ah, ’s capis, con gent’ parei”) – al prigioniero numero 174 517 del lager di Auschwitz I, reo di aver rovesciato il secchio con la malta che avrebbe dovuto passargli per un muro che sta erigendo per la IG-Farben. Il prigioniero 174 517 al sentire quella voce reagisce: “Ma tu sei italiano”. “’S capis”, si capisce, è la risposta di Lorenzo. Che l’indomani si presenta con la sua gavetta da alpino piena di zuppa e la porge al prigioniero, ingiungendogli di riportarla vuota “prima di sera”. Per Primo Levi – è lui il prigioniero 174 517 che fra le baracche e il fango di Auschwitz sta lottando per la sopravvivenza – quella gavetta e quelle che giorno dopo giorno seguiranno, integrazione indispensabile a una dieta altrimenti fatale, sono la salvezza: “Credo che se oggi sono vivo lo devo a Lorenzo”, ha affermato più volte.
Già, ma chi era Lorenzo Perone? Carlo Greppi, storico con la passione di riscoprire storie che la Storia tende a dimenticare, si è messo sulle poche tracce che Lorenzo ha lasciato: lo insegue fra gli scritti e le interviste di Levi, le memorie dei pochi che lo hanno conosciuto, i testi degli studiosi che se ne sono occupati, gli stralci che sono arrivati nel faldone dello Yad Vashem, che nel 1998 ha inserito Lorenzo nel novero dei “Giusti fra le nazioni”. Il risultato è il ritratto di un uomo cresciuto in un mondo di povertà, di fatica, di stenti, fra le botte del padre e le risse da osteria. Muratore, frontaliere non sempre legale fra il Piemonte e la Francia, qui viene sorpreso dalla guerra e finisce fra le migliaia di lavoratori italiani più o meno “volontari” in Germania. Tornato al paese natale, Fossano, non si riprenderà più: si riduce a fare il robivecchi, il poco che guadagna finisce tutto in grappa e vino cattivi. “Gli chiesi perché – scrive Primo, che è andato a trovarlo – e lui mi rispose, francamente: ‘Non ho più voglia di vivere’”. Non fosse stato per l’incontro con Levi, sarebbe stato uno dei milioni di nessuno che la Storia dimentica. Un uomo di poche parole, appunto; ma, quelle poche, pesanti: “E io gli ho detto: ‘Guarda che rischi a parlare con me’ – ricorda Primo – E lui mi ha detto: ‘Non me ne importa niente’”. O ancora Levi in un’intervista: “Mi chiese una volta ‘Perché siamo in questo mondo, se non per aiutarci fra noi?’”.
Un uomo di poche parole
Carlo Greppi
Laterza, 316 pp., 19 euro
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