Una fogliata di libri

Fogli di sosta

Riccardo Bravi

La recensione del libro di Angelo Vannini edito da Italic Pequod (104 pp., 15 euro)

Fogli di sosta è la prima raccolta poetica di Angelo Vannini, anconetano che risiede a Parigi oramai da più di un lustro. In realtà, però, non si tratta del suo primo tentativo poetico, visto che L’intermissione dei cigni. Cinquantanove giorni alla frontiera della letteratura, una sorta di volumetto di prose uscito per Arcipelago Itaca nel 2017 e introdotto da un testo di Francesco Scarabicchi, rivelava già il talento e le capacità di questo giovane autore nel sondare quel terreno assai vasto che chiamiamo, appunto, poesia. Ed è proprio a Scarabicchi, maestro e amico fraterno che lo ha segnalato “ad amici e a critici […] ravvisando in quest’opera qualcosa di bruciante”, come ricorda Fabio Pusterla nella bella prefazione, che Vannini dedica il suo libro: “Sono per te che resti mentre vado questi fogli / di sosta, messaggeri al Marzocco, nel risveglio”.

Questi brevi componimenti dialogano tra passato e presente, tra storia personale ed eventi collettivi, tra ricordi veri e ciò che succede ora o che potrà avvenire in un futuro quanto più incerto: se il tempo è infatti sfumato tra un “ici” e un “ailleurs”, anche la memoria succede che ne risenta: “Chissà se era / casa mia, se lo presidiavi / certa di trovare un angolo / tra la memoria e il niente / la continuità o ciò che resta / di un riparo quando cade”. Una malinconia sebbene mai troppo esibita si mescola talvolta a momenti più distesi e riflessivi, nei quali è il mare Adriatico a fare da capolino, come in un disegno di Tullio Pericoli, evocato in questo settenario dal ritmo pacato e assorto: “In fondo eravamo / fortunati, da noi si vedevano / le case sopra le colline, i fiumi / non ancora in secca. E l’acqua / che nel mare era ancora calma, come una volta, / gradita, l’altra voce”. Sono queste le accensioni più belle di Vannini, quelle in cui il verso si spoglia di tutti gli orpelli possibili vivificando verso una asciuttezza sempre più scarabicchiana. Non è infatti Scarabicchi il poeta della neve e del candore? Basti pensare a Il prato bianco (Einaudi, 2007) per averne conferma. E qui, infatti, è necessario andare a leggere la sezione intitolata Inverno per rendersi conto di come questo giovane autore ne prosegua forse il percorso, in una maniera che evoca parole e immagini per niente dissimili: “Come pozzanghera e a ridosso d’ombra, / la regola di pace”; oppure, in maniera ancora più diretta: “L’inverno è un nome in mano”.

    

Angelo Vannini
Fogli di sosta
Italic Pequod, 104 pp., 15 euro

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