grafica di Enrico Cicchetti 

una fogliata di libri

Ecco la vera scrittura di Kafka, un eterno work in progress

Rinaldo Censi

A centoquaranta anni dalla nascita, Bompiani ha di recente mandato in libreria “Franz Kafka. Tutti i romanzi”

Un uomo scrive a Kafka. Non nasconde l’imbarazzo. Scrive da Berlino-Charlottenburg. E’ il 1917. 

 
Kafka l’ha reso infelice. Si chiama Wolff, dottor Siegfried Wolff, e ha acquistato “Metamorfosi” per regalarlo alla cugina. “Lei però non riesce a capire il racconto”. La lettura ha scaturito un effetto valanga. “Mia cugina l’ha dato a sua madre, ma anche lei non l’ha capito. Sua madre ha dato il libro a un’altra mia cugina, e anche lei non l’ha capito”. I parenti tutti reclamano ora dal dottore una spiegazione. E’ il laureato della famiglia. Il problema è che pure il dottor Wolff non ci ha capito niente. Ha passato mesi in trincea scambiando colpi con i russi senza battere ciglio, ma non può perdere il suo buon nome davanti alle cugine. Ed è per questo che scrive a Kafka. Lo deve aiutare. “Perché è lei ad avermi messo in questo pasticcio. Voglia quindi dirmi cosa deve pensare mia cugina della Sua Metamorfosi”. 

  
La missiva è certamente “kafkiana”. Apre la nota introduttiva a “Der Verwandlung, La metamorfosi”. La trovate nel bel volume pubblicato recentemente da Bompiani (collana Classici della letteratura europea): “Franz Kafka. Tutti i romanzi. Tutti i racconti e i testi pubblicati in vita”. Sono anni “kafkiani”. Nel 2023 si festeggiano i centoquaranta anni dalla nascita. Nel 2024 si commemoreranno i cento dalla morte. Diverse sono le novità editoriali che lo riguardano. Nuove traduzioni sono uscite per il Saggiatore. Altre pubblicazioni seguiranno. Per ora, vale la pena salutare con gioia questo volume Bompiani, che ha il merito di proporre per la prima volta ai lettori italiani un’edizione critica dei suoi scritti. Mauro Nervi l’ha curato, scansando per la prima volta l’edizione Brod, “l’unica fino ad ora conosciuta in Italia”, avvalendosi dell’edizione critica tedesca, approntata negli anni ‘90. La scelta è importante. L’impianto filologico del volume comprende infatti, oltre a numerose pagine di introduzione a ogni testo, un apparato di note e di varianti che riportano la scrittura di Kafka alla sua dimensione più appropriata, quella di un work in progress, un laboratorio interminabile, che fatica a chiudersi in un’opera (“Il lavoro si chiude come può chiudersi una ferita non guarita”, scriveva nel suo diario del 1922, lasciando dopo “guarita” dello spazio bianco, senza inserire un punto fermo. Punto che è stato invece inserito nell’edizione italiana dei Diari). 


Dobbiamo dunque ringraziare Max Brod per aver disatteso le volontà dell’amico, salvando i manoscritti che Kafka avrebbe voluto vedere distrutti. Il suo gesto “autorizza a considerare l’intero lascito manoscritto come un passo cassato di amplissime dimensioni, dove ogni singola variante del testo acquisisce il medesimo valore del testo non cassato”, scrive Nervi. Cancellare, distruggere, modificare. Kafka l’ha sempre fatto. Ha distrutto i suoi componimenti lirici scritti ai tempi del liceo. In una lettera all’amico Oskar Pollak scriveva: “Ti do duemila righe circa. Forse ne potrei ascoltare ancora dieci con pazienza... La maggior parte mi ripugna, lo dico francamente”. Questo libro non ci restituisce solo tutti i romanzi di Kafka, tutti i racconti e i testi pubblicati in vita. Ci permette di entrare come piccole mosche nel suo laboratorio. Lo scriveva a Brod nel giugno del 1921: “Scrivere era allora qualcosa di provvisorio, come per uno che scrive il suo testamento poco prima di impiccarsi, qualcosa di provvisorio che certo può durare tutta una vita”. Doveva essere proprio così.  

 

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