Alla scuola d'oggi servirebbe la lezione d'un moralista settecentesco
“Consigli a un giovane per diventare uomo”, di Vauvenargues e curato da Marco Lanterna (Castelvecchi) andrebbe consigliato agli studenti tra le letture estive
Mi domando se, tra le letture estive, qualche spericolato insegnante italiano abbia raccomandato ai suoi studenti di leggere “Consigli a un giovane per diventare uomo” di Vauvenargues. La cosa appare improbabile perché, come scrive il curatore (per Castelvecchi) Marco Lanterna, anch’egli raffinato sarto di lettere, Vauvenargues è portatore di un credo energetico-agonistico: “Vivere è come essere sbalzati dentro un’arena”. E cosa vi è di più distante da quel luogo di allevamento e accoglienza per timorosi che è diventata la scuola? Cosa di più lontano da un’arena in cui provare una prima radicale simulazione della vita?
Vauvenargues è un moralista settecentesco e quindi è maestro di morale, di azione, di modo di portarsi nel mondo. Non vi è una stilla in lui di quell’acida sicumera dei puntatori di dito, di quella rivoltante sicurezza ebbra di legislazione che distingue senza dubbi ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. “Il valore e la presunzione, la giustizia e la durezza, la saggezza e la voluttà, quante volte si sono confuse, succedute o alleate”.
Questo nobile vissuto poco più di trent’anni, amico di Voltaire, con una vita complicata dalla malattia e dalla guerra, invita all’azione ma è rigoroso nella linea da seguire con se stessi: una linea non tracciata ma sempre da tracciare nello slancio in avanti e non nel timoroso nascondersi che è il primo passo di quelli che dall’ombra fanno solo mostra d’occhi buoni per giudicare secondo regole stabilite d’altri come loro.
La traduzione di Lanterna fa emergere questa voce amichevole, sapiente e antica, di quell’antichità presente che avvertiamo nella semplicità e nella certezza di ciò che è classico già nel momento in cui accade. La levità della scrittura, l’evidenza del dire, quasi fossero necessarie le parole che stanno una appresso all’altra; una necessità che non è nel pensare, ossia mediata, ma immediata nella frase pronta per essere non già ascoltata ma seguita. “Si scrive tutto il bene che si pensa e si fa tutto quello che si può”.
Ogni uomo, meglio ancora se molto giovane, troverà in queste pagine di Vauvenargues il suo colpo di scudiscio, il ricordo o la premonizione pungente di essere un vizioso per un motivo o per l’altro: per mancanza di coraggio verso le proprie debolezze o verso il mondo e le sue possibilità; per vanteria, spacconaggine, millanteria; per timore, tremore, codardia. Ma è sempre l’indulgente voce di un amico antico che ci parla attraverso l’infinitamente nobile sentimento dell’amicizia classica. Lo sguardo di chi partecipa della vita e da cui non pretende più di ciò che si può, che invita a percorrere quel possibile che è il mondo nella maniera più decisa senza lasciare nessuna strada intentata e nessun talento sepolto: l'audacia del tentativo, del successo o del fallimento mentre si cerca la gloria.
In Vauvenargues il coraggio e lo spirito d’intrapresa non sono mai velleitari, mai fini a se stessi, mai beaux gestes decadenti. Al contrario, sono una sfida al mondo tenendo però sempre ben presente il mondo. Egli sembra di continuo avvisare l’amico, a cui dispensa i propri consigli, che non si può fare il verso al proprio tempo senza ricavarne danno; non si può vivere in modo radicalmente inattuale, a meno che non si sia disposti a pagarne il prezzo, senza lamenti e senza piagnistei. “Se pertanto si è obbligati ad assumere risoluzioni estreme, le si deve abbracciare con coraggio e senza ascoltare il consiglio dei mediocri”. Non vi è che il mondo, questo mondo, in cui avere la gloria, in cui ottenere la propria realizzazione che è parola meravigliosa che invita all’azione pratica. Ma il riconoscimento e la gloria vanno strappati al mondo con le proprie capacità e con la forza della propria decisione. La fortuna è protagonista del mondo e delle vite degli uomini ma bisogna sempre forzarle la mano, attirarla verso di noi, o “batterla” senza posa fino a piegarla, o a esserne piegati.