Una fogliata di libri
L'ultimo giorno di Jim Loney
La recensione del libro di James Welch edito da Mattioli1885 (208 pp., 18 euro)
"Quando Loney pensava agli indiani, pensava alle famiglie della riserva, che vivevano tutte sotto lo stesso tetto, i vecchi che si tramandavano la saggezza dei loro anni, degli anni della loro famiglia, degli anni della loro tribù, e i giovani che assorbivano la loro storia”. E’ la nostalgia bruciante di ciò che non è stato che abita e in qualche modo in parte definisce la vita di Jim Loney, mezzosangue il cui padre – bianco – è uscito di casa per non tornare quando lui aveva circa dieci anni. E’ rimasto con una sorella più grande, Kate, di cui Jim ha cercato di prendersi cura e di una madre, di origine indiana, scomparsa poco dopo.
Loney vive ad Harlem, nel Montana, terra di frontiera e di confine, dura e grezza. E’ stato tirato grande da quei luoghi, cercando di cavarsela e di diventare adulto con il materiale umano ed emotivo a disposizione. Quello che lo definisce di più però è il sentirsi incagliato tra due mondi e di non appartenere a nessuno dei due. Loney è prima di ogni altra cosa un uomo senza famiglia, senza radici. Qualcuno che ha difficoltà a trovare – o anche solo pensare di meritarsi – un posto nel mondo poiché non sa da dove viene, non sente di appartiene a qualcosa o a qualcuno. Abita, sospeso, una terra di mezzo – emotiva e geografica – immerso in una crisi esistenziale che lo porta sempre a un passo dal baratro, senza farlo mai precipitare. Questa sua falla non gli impedisce però di voler bene. E’ diviso tra due donne: Rhea, insegnate bianca che vorrebbe portarlo con sé a Seattle, e sua sorella Kate che cerca di convincerlo a trasferirsi a Washington dove lei ha fatto carriera. Loney però oppone resistenza. Nonostante il bene sincero verso di loro, vuole rimanere lì, attaccato alla sua terra. Non è disposto a mettersi in moto, sembra che in fondo nulla gli importi davvero. E’ affezionato alle sue ferite e i suoi fantasmi, alle visioni di un uccello nero del malaugurio che gli si palesa nei momenti peggiori. Sono tutto quello che gli resta. Perché se hai perso le tue radici famigliari e non sei ancora di qualcun altro, quello che ti rimane sono i luoghi, la terra, la famigliarità di un paesaggio che ti fa sentire, dolorosamente, a casa. “Superò di corsa il cartello che recitava benvenuti ad Harlem, patria dei campioni di basket del 1958. Non poteva vederlo, ma sapeva che c’era scritto così. E sapeva che l’angolo in alto a sinistra si era deformato in modo tale che l’insegna sembrava uno strano aquilone in procinto di sollevarsi nel cielo. Ma aveva paura di alzare lo sguardo, perché temeva di vedere il suo uccello immaginario tra le stelle”.
James Welch
L’ultimo giorno di Jim Loney
Mattioli1885, 208 pp., 18 euro