Maniac

Alessandro Mantovani

La recensione del libro di Benjamín Labatut, Adelphi, 361 pp., 20 euro

Nel 1951 il matematico ungherese Janos von Neumann sviluppò un calcolatore dalle potenzialità strabilianti. Erano gli anni dell’immediato Dopoguerra e l’informatica moderna era ben lungi dall’orizzonte, ma Neumann, che da giovane era stato affascinato e  ossessionato dalle teorie di Hilbert – il padre della matematica moderna convinto di poter ridurre la complessità del mondo ad una serie di assunti matematici –, si dimostrò visionario pioniere. Divorando le teorie di Alan Turing, Neumann diete vita al primo calcolatore matematico simile al moderno computer e lo chiamò con una sigla: MANIAC.


La storia di Janos von Neumann è solo una delle tre raccontate nel nuovo libro di Benjamín Labatut, scrittore cileno oramai consacrato nel panorama degli autori di spicco della letteratura mondiale. Anche questa volta, Labatut ripropone i meccanismi letterari che hanno condotto al successo i suoi libri precedenti, manifestando e consolidando la sua ricerca letteraria. Attraverso una scrittura finzionale, che colloca il testo nel campo del romanzo e non nel resoconto storico o nella biografia, utilizzata – secondo le parole dell’autore – per permetterci di scivolare più a fondo ed emotivamente nel materiale narrato, Maniac tratta ancora una volta del rapporto tra scienza e follia.


Attraverso tre storie (quella del fisico Paul Ehrenfest, del citato von Neumann e di Lee Sedol, il campione del gioco Go, sconfitto nel 2016 dall’intelligenza artificiale), raccontate da testimonianze immaginarie di amici, parenti e colleghi, il libro percorre le scoperte tecnologiche e scientifiche dell’ultimo secolo, rilevando, però, come logica, fisica, matematica e razionalità siano, in questa storia di invenzioni, pericolosamente tangenti alla follia e, appunto, alla maniacalità. 


E così, da Ehrenfest e il suo peccaminoso accorgersi di un’insondabile irrazionalità alla base del mondo fisico, alla mania perversa di von Neumann per la costruzione di macchine-automi in grado di vivere, pensare, distruggere in completa autonomia, alla nascita di un’intelligenza non umana in grado di annichilire la nostra ragione, tra le parole di Labatut fanno capolino demoni e fantasmi che si affollano nelle radici delle scienze dure, dimostrando come il problema di quelli che a questi moderni Prometei sembrano semplici giochi “è che quando vengono giocati nel mondo reale, ci troviamo faccia a faccia con pericoli che, con le nostre limitate conoscenze e la nostra limitata saggezza, potremmo non essere in grado di superare”. 

 

Maniac
Benjamín Labatut
Adelphi, 361 pp., 20 euro