una fogliata di libri
Cane e contrabbasso
La recensione del libro di Saša Ilic, edito da Keller, 384 pp., 19 euro
Alla fin fine, il jazz è davvero un genere letterario. Non vale la pena ripercorrerne la carriera trasversale e la genealogia dall’inizio, inevitabilmente stellestrisce per l’origine della musica, fino ad adesso. Anche il romanzo del disagio mentale è un topos fortunato e curiosamente efficace e consonante con quella musica nel melting pot e nell’improvvisazione.
A Saša Ilicć con Cane e contrabbasso – che esce per Keller editore nella traduzione dal serbo di Estera Miocicć –, riesce la combinazione dei due luoghi stilistici e ne nasce un romanzo felice che ha avuto la fortuna di conquistare il prestigioso premio letterario balcanico “Nin” che ha sottolineato come il libro riesca a cogliere i “traumi nazionali e sociali che modellano la nostra società” ed evocare “in modo suggestivo visioni diverse e reciprocamente opposte della nostra epoca”. Cane e contrabbasso è, infatti, un’opera corale, epocale più che generazionale, storica, civile (ma gli aggettivi mancano la ricchezza dell’impianto) che gravita attorno al ricordo della stagione sorgiva aperta dalla Legge Basaglia. E l’Italia, un po’ di conseguenza, non è lontana e il testo fa scorrere in corsivo qualche lemma anche nell’originale in lingua serba.
Il musicista Filip Isakovicć, ex veterano di guerra e contrabbassista jazz ammutolito nel suono (in fondo “il jazz è l’arte delle occasioni perse” è una sua definizione; il libro ha una ricca soundtrack esplicita nel finale), viene portato fino all’ospedale psichiatrico di Kovin per un percorso di riabilitazione ed entra in campo il divinatorio personaggio del dottor Marko Julius, sodale basagliano. Kovin (Bolnica Kovin in Vojvodina, a due passi dal Danubio – la curiosità di vederne delle immagini da Google earth è una tentazione d’amore per i luoghi letterari sanatoriali a cui non si può resistere) è un mondo a parte ma pure un’isola – felice non sarebbe la parola corretta per la sua usura – dove tutto viaggia a un’altra velocità. L’Italia torna protagonista nell’ultima parte del romanzo ambientata a Genova e con Ana Flavijana Betizza, madre di Julius – il padre Dezider è l’altro anello mancante su cui si sviluppa la narrazione –, che qui muore e viene seppellita nel cimitero di Staglieno. La frammentazione reale e interna dei personaggi sembra ricordarci, in definitiva, che tutti più che soli sul cuor della terra siamo alla ricerca di una ricomposizione col mondo e con noi stessi. Ed è questo stesso un romanzo: la vita.