Una fogliata di libri
Lapidi. La Grande Carestia in Cina
La recensione del libro di Yang Jisheng edito da Adelphi (836 pp., 38 euro)
Chi ritiene che il comunismo sia un’idea sulla carta meravigliosa, ma applicata male storicamente, è vittime dell’ideologia: il comunismo è una religione secolare che ha trovato completa realizzazione nel mondo umano. Questo volume testimonia cosa ciò ha significato nella Cina del Grande Balzo in Avanti (1958-1962): carestia, cannibalismo, morte.
L’autore, Yang Jisheng, è un giornalista cinese, il quale nel 2014 venne in Italia per parlare della versione inglese (Tombstone) all’Istituto Bruno Leoni. Egli è inoltre il figlio di uno dei milioni di vittime – ne stima circa 36 milioni, a cui vanno aggiunti circa 40 milioni di nascite in meno – dell’utopia-distopia comunista di Mao Zedong. Il titolo intende essere un omaggio al padre: una lapide sempiterna che possa servire da monito alle generazioni future, ricordando cosa un supremo ideale collettivistico abbia riservato a vittime innocenti. La grande carestia in Cina, infatti, non ha precedenti. Senza guerre o epidemie in corso, il sistema totalitario cinese creato – un vero unicum: Mao ha innestato la pianificazione centralizzata dell’Unione sovietica sul dispotismo imperiale cinese di oltre duemila anni precedente – ha causato più morti di qualsiasi altra catastrofe di cui è responsabile l’uomo. E senza alcuna critica.
Considerato alla stregua di una divinità terrena, Mao ha dato vita a un sistema in cui il centro del potere era anche il centro della verità. L’indottrinamento, facilitato dall’ignoranza diffusa, la menzogna sistematica, il terrore instillato nella popolazione, ma anche la fede cieca nel sistema, danno la prova di cosa abbia potuto raggiungere il potere nella sua essenza più pura. La cosa forse più terribile è che ciò sia avvenuto in nome della “liberazione” degli uomini: la costruzione del comunismo realizzato, la “strada per il paradiso” è stata “di fatto una strada per la morte”. Tale strada è passata attraverso la collettivizzazione più assoluta, iniziando con quella degli stomaci. Il sistema centralizzato doveva rimpiazzare la libertà di ciascuno di provvedere a sé. Attraverso la requisizione minuziosa della proprietà individuale – a partire dagli utensili da cucina, passati nelle “mani” delle mense comuni – si è dissolta ogni possibilità di resistenza: la sopravvivenza di ciascuno era di proprietà del sistema maoista. E ciò ha condotto alla centralizzazione dei fini politici. Il risultato è stato il sacrificio di milioni di individui sull’altare di un fine astratto di natura collettiva.
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