Una fogliata di libri - Lettera da un appuntamento
"Passo a prenderti alle sette". Memorie di una città
Il ritorno a Milano dopo trent'anni, una città che cambia volto, lo sguardo pensieroso di un padre. Mentre sullo da sfondo affiorano la nostalgia e la malinconia di un passato ormai lontano
"Passo a prenderti alle sette”. Fai sempre delle storie: impedimenti incomprensibili, scuse improbabili. Basta. Passo stasera alle sette.
E infatti sei sotto casa, puntuale. Il Burberry malvissuto, le braccia conserte, accigliato: io, due minuti in ritardo – si è dimenticata, già pensavi. (Ma ora non mi dimentico più, se ho appuntamento con te).
Sali in auto, un brusco ciao. È un venerdì sera, ora di happy hour. Mi guardi perplesso: è un po’, che manchi da Milano. I dehors a Garibaldi gremiti, gli Spritz colmi di ghiaccio. Facciamo due passi, vuoi? A corso Como corrono tutti, e mentre corrono parlano animatamente. Ti volti a guardarli. Ancora trent’anni fa, se parlavi da solo dicevano “Poerett, l’è matt”. A via Moscova è rosso, ma pedoni e ciclisti traversano, serafici. Ti leggo in faccia: “Con il rosso, roba da matti”. (A Milano si era, un tempo, un po’ austroungarici). Intanto due tipi in monopattino quasi ti abbattono. Tu gli urli dietro, io, abituata: “Lascia perdere”.
Il tuo ristorante, a Brera, c’è ancora. Scorri la lista. Linguine alla menta, sogliole alla cioccolata: “Cos’è sta’ roba?”, chiedi, e poi non tocchi il piatto. In via Dante, un’onda di turisti. “E questi?” domandi “che cosa vengono qui a fare?” E, le edicole? “Perché sono chiuse?”. Perché c’è il web, papà, guarda: e ti mostro lo smartphone. Nei tuoi occhi meraviglia e malinconia. Tanto ha corso Milano, che non puoi raggiungerla. Trent’anni da che manchi: un altro mondo. Ora capisco, perché non volevi venire con me.
A mezzanotte passa da Meravigli un vecchio tram in livrea verde, e tu lo guardi come ritrovassi un amico: ma il tram si allontana nella notte con il suo fruscio d’acciaio malinconico, e scompare.
Torniamo. CityLife, lo Storto audacemente curvo verso il suolo. Come lo guardi, come pensieroso mi saluti. Forse non dovevo? Farti vedere Milano, papà, trent’anni dopo che sei morto. Sciocca che sono. Sembravi tu, il solo straniero. O, forse, anch’io? Non noi ce ne andiamo, sono le città, che ci abbandonano.
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