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una fogliata di libri

Quel che non sapremmo senza Raskolnikov

Marco Archetti

La recensione del libro “La biblioteca di Raskolnikov-libri e idee per una identità democratica” edito da Einaudi (218 pp., 18 euro)

I libri migliori – si sa – sono i peggiori. Fumigante sentina e infrequentato solaio, laido scantinato o terrazzaccio abusivo da cui spiare scorci irraccontabili, il romanzo è  tutto il molteplice taciuto. I romanzi che si sono stabiliti per sempre dentro di noi plasmando la sede che, volenti o nolenti, si sono presi con la nostra complicità, sono quelli scritti col tono di chi ci sta confessando qualcosa di indicibile in un orecchio e che sarebbe disdicevole ammettere ad alta voce, non certo quelli ragionevolmente “costruttivi” e meno che mai quelli sbarcati in libreria con la voce rovente di messe cantate e l’efferatezza di una missione – di solito quella di migliorarci, di renderci più “consapevoli” e di trasformarci in creature più sensibili (no, peggio: sensibilizzate) a feticci immacolati cioè fiacchi.


Così, intravedendo tra gli scaffali “La biblioteca di Raskolnikov-libri e idee per una identità democratica” (Einaudi, 218 pp., 18 euro), sulle prime (attenzione, ecco un po’ di sincerità – è sorprendente in una recensione, vero?) ha prevalso il pregiudizio. All’istante, le ghiandole hanno prodotto un aprioristico bozzolo di sospetto, non fosse altro che per quel vago madore, di cui il titolo sembrava imperlato, di pedagogismo redentore. Poi, però, siccome uno è stato beneducato da libri maleducati, si è affacciato in mente, a opera di quel solertissimo avvocato interiore in dotazione ai beneducati maleducati, l’elenco dei libri indimenticabili non tanto per ciò che di taciuto ci hanno rivelato di noi stessi, ma per ciò che ci hanno detto di mai concepito su tutto il resto, indicandoci un modo di stare al mondo, un modo su cui non ci eravamo mai interrogati. Ed ecco spuntare l’“Apologia” di Socrate e il “Qohèlet”, l’“Etica” di Spinoza e il Kierkegaard di “Timore e tremore”, “La tregua” e “Vita e destino” – opere di colossale illuminotecnica storica, filosofica e morale.

“Senza Raskolnikov non sapremmo cosa passa nella testa di un assassino”, recita la bella introduzione di Simonetta Fiori, curatrice di questo volume di sentieri sentimentali attraverso le pagine proposte da Luciano Canfora, Franco Cardini, Elena Cattaneo, Anna Foa, Nicola Lagioia, Marco Revelli, Aldo Schiavone e Gustavo Zagrebelsky. Ed è vero: senza Raskolnikov (che a Revelli, autore di uno dei capitoli più interessanti, ha fatto salire la febbre) non avremmo saputo niente del nostro doppio. Ma è anche più sorprendente sospettare che senza Marx (per via luciocollettiana, “Il marxismo e Hegel”) non potremmo comprendere la democrazia, che non è una pratica formale senza destinazione d’uso mai messa alla prova delle scelte di ogni giorno, ma l’esatto contrario – lo svuotamento dall’interno di questo suo significato (lo scricchiolio, dice molto bene Fiori) dimostra questo pericolosissimo affievolimento di realtà.


“La biblioteca di Raskolnikov” riporta in vita numerosi apostati, eretici deliocantimoriani, ardenti mazziniani, i marchiati per sempre e i marciatori che rompono le righe per tracciarne altre; ci sono gli orologi carloleviani (il capitolo di Anna Foa si vorrebbe non finisse mai), “I quaranta giorni del Mussa Dagh” di Werfel in cui leggere il destino degli ebrei, Ada Gobetti col suo “Diario partigiano”, Rita Levi Montalcini che elogia l’imperfezione. E anche Paul Celan, vittima che scrisse nella lingua dei carnefici: si gettò nella Senna dal punto esatto cantato da Apollinaire.

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