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Una fogliata di libri - Lettera dal buio

Il sottosuolo d'acciaio e cemento che ipnotizza

Marina Corradi

Quando un viaggio in metropolitana diventa occasione per formulare delle utili, critiche, riflessioni esistenziali 

La prima fila di sedili del primo vagone della linea 5 ha i suoi affezionati. Il metrò 5 non ha il macchinista, e se riesci a sederti lì davanti ti pare proprio di essere tu, a guidare. Ne vanno matti i bambini piccoli. Accanto a me un adolescente filippino con lo smartphone riprende la corsa dentro al tunnel buio. Sulla destra, un milanese d’antan, Burberry e valigetta da medico: fissa lo srotolarsi dei binari lucenti nella fredda aura delle lampade della galleria.


Anch’io, affascinata dal ventre di Milano. Sopra oggi c’è il sole, i bus turistici rossi a due piani affollati. Qui sotto, in questa luce algida, i binari paralleli della linea 5 filano via veloci. A tratti si incrocia un treno con l’insegna accesa, che in questo buio un po’ rassicura; ma scorrono via come vento i vagoni, i volti dei viaggiatori indistinguibili.


In verità, nel riflesso sul vetro nero del treno, anche noi non sembriamo molto consistenti. C’è una ragazzina con un trolley gigantesco, come dovesse partire per sempre; e operai stranieri che hanno attaccato alle cinque, e al dondolio del metrò si assopiscono.

 

Poi, nel riflesso, ci sono io, con un’aria interrogativa. Non so cosa è vero: questo tunnel di cemento e di acciaio e la sua notte perenne, o noi, passeggeri – cioè gente di passaggio, ombre evidentemente provvisorie nel riflesso deformante del vetro ricurvo.
“Monumentale”, una stazione illuminata accanto a noi. Qui sopra stanno i morti. Il signore con la valigetta nera scende con la tranquillità di un habitué, come andasse a trovare qualcuno.


Il treno riprende a correre. E’ per via della luce diaccia? Mi vengono in mente le foto del metrò di Londra durante la guerra, la gente che dormiva sui binari per sfuggire alle bombe. Come a Kyiv, oggi. Dormire qui, tu pensa: abbracciati ai bambini, al cane, in questo freddo da tomba. “Ma via – mi riscuoto – non potrà succedere mai”.


E’ il sottosuolo, che mi ipnotizza. Con sollievo risalgo in superficie. Dalle scale mobili già intravedo candide nuvole erranti, sfaccendate. Quanto mi è caro, dopo il buio, il cielo di maggio.

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