Chiassovezzano. Una casa e una famiglia temeraria in tempo di guerra
La recensione del libro di Piero Dorfles, Bompiani, 202 pp., 18 euro
In questo memoir, narrato con una prosa tanto limpida quanto scorrevole, il giornalista e critico letterario Piero Dorfles ha raccontato la storia della sua famiglia, formata da ebrei assimilati: una vicenda che si svolge tra la Trieste della metà del Novecento e la tenuta di Chiassovezzano – situata nel territorio del piccolo comune di Lajatico, in provincia di Pisa – dove, a seguito della promulgazione delle leggi razziali, i Dorfles furono costretti a rifugiarsi perdendo nel contempo la Umlaut che ne connotava il cognome.
Pienamente integrata nella vita culturale e civile della città giuliana la famiglia, negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, era costituita principalmente da due fratelli: Giorgio, il padre di Piero, e Gillo. Avvocato il primo, teorico e critico d’arte il secondo, decidono entrambi di restare a Trieste fino a quando nel 1943, con l’armistizio e l’occupazione tedesca, non resta loro che la fuga: e dove fuggire, se non a Chiassovezzano?
Frutto di un’accurata indagine storica condotta anche attraverso l’analisi di lettere, taccuini e annotazioni varie, il libro si rivela suggestivo soprattutto in virtù della scelta effettuata dall’autore: il quale ha deciso di rievocare quei mesi terribili descrivendo la casa ubicata nella tenuta, le sue stanze piene di storia e storie, il vasto giardino, la galleria sotterranea, il granaio, l’attrezzatissima cucina, la pantera nera che è il simbolo dell’abitazione: dal momento che ogni cosa, in quei luoghi, parla di chi vi ha vissuto.
C’è poi, contemporaneamente, la grande storia con la quale i Dorfles sono costretti a fare i conti: vale a dire la caduta del fascismo, la ritirata dei nazisti, le vessazioni antisemite, la quotidianità che li espone a continui pericoli. Scrive al riguardo l’autore: “A me sembra che quello che ne emerge, in fondo, è che tanto Gillo che mio padre sembrano essersi preparati, fin da quando apparivano enfant gâtés, a una battaglia che li costringeva a quella sfida, imposta loro dal momento storico in cui sono vissuti. E che forse è stata superata soltanto con la fine della guerra e delle persecuzioni”.
Da ultimo sembra interessante notare come nel racconto di Dorfles non appaia mai il termine “eroismo”, giacché egli preferisce utilizzare la categoria della “temerarietà”: il che viene messo subito in rilievo dal sottotitolo del volume. Nessun atto eroico viene compiuto, dunque, ma solo gesti e comportamenti “ordinariamente” temerari, magari un po’ sconsiderati. Un understatement che, insieme al tono sovente ironico e alla varietà dei temi, fa di Chiassovezzano un testo gradevolissimo.
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