Una fogliata di libri

Tremore

Gaia Montanaro

La recensione del libro di Teju Cole, edito da Einaudi (216 pp., 19,50 euro)

Come si fa a vivere senza possedere gli altri? Come si fa a vivere in un modo che non cannibalizzi le vite degli altri, che non li riduca a mascotte, oggetti di fascino, semplici termini nella logica di una cultura dominante?”. È questa una delle domande, forse la più centrale, sottesa nel romanzo spiazzante e difficile da addomesticare di Teju Cole. Tremore ha al suo fulcro un fotografo e professore di Storia dell’arte a Cambridge di origine nigeriana, Tunde, che vive nel mondo elitario dell’Ivy League insieme alla moglie giapponese Sadako. I due, mentre stanno visitando un negozio di antiquariato nel Maine, trovano un copricapo di antilope dell’Africa occidentale, un manufatto di poco valore e dubbia provenienza originale che innesta in Tunde una riflessione sulla decolonizzazione. Da qui il romanzo assume una forma ibrida e fluida, cambiando continuamente prospettiva, temi e punti di vista. Ciò che tiene insieme tutto è la voce di Tunde, o meglio, le sue riflessioni introspettive e dall’articolazione saggistica che prendono avvio da aneddoti narrativi vissuti dal protagonista.
 

La partecipazione a una Biennale di fotografia è lo spunto per un approfondimento musicale che va da Bach al pop africano, piuttosto che una conferenza su un dipinto fiammingo offrirà l’occasione per ragionare sulla tratta delle opere d’arte. Queste porzioni narrative più analitiche si accompagnano a passaggi emotivi in cui si racconta del matrimonio, a tratti fragile, tra Tunde e la moglie, piuttosto che a una relazione avuta dall’uomo molti anni prima o la perdita di un caro amico. Nella seconda parte del romanzo c’è ancora un capovolgimento formale e di contenuto: Tunde torna a Lagos e nel testo compaiono ventiquattro brevi monologhi, tutti esemplificativi di differenti modi di vivere la città, tra presentatori radiofonici notturni e prove generali di funerali.
 

Lagos come una delle Città Invisibili di Calvino, che attrae con voluttà ma al contempo svela “che ci possa essere qualcosa di marcio sotto quella vitalità e che l’unica cosa da fare con questa consapevolezza sia proseguire il viaggio”. È inafferrabile il romanzo di Teju Cole, figlio di suggestioni e una sensibilità caleidoscopiche. Sincopato, quasi al limite in certi tratti della scomodità, ma che costringe il lettore ad una flessibilità, a lasciarsi condurre in un mondo e uno spazio sconosciuti. Sposta lo sguardo, spiazza e affatica. Come quando si incontra un mondo nuovo, sicuramente sfidante. Esiste un modo di rappresentare il mondo senza cannibalizzare le vite degli altri Questo ne è un personale tentativo.

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