Un dolore di cui non si dice. Lettera da uno schermo nero

Marina Corradi

La memoria di un figlio non nato è l’ultimo tabù

Dunque, quella che ancora io chiamo “la bambina”, aspetta: inizia il quarto mese.


Fino a pochi giorni fa non doveva saperlo nessuno. Non si vedeva, del resto: solo il bottone in vita dei jeans lasciato aperto, come per un vezzo.
Mi ha telefonato, la voce trionfante: “E’ un maschio!” E, ha aggiunto fiera, “E’ già grande come un avocado”. Bambina, ho ripetuto fra me. Ventisei anni, ma quando è senza trucco al super qualche cassiera ancora esita a venderle la birra. Madre però, lei, molto prima di me. A me, solo l’orologio interiore dei 30 anni mi aveva svegliato.


Subito dopo la telefonata, sul cellulare un video. Nero lo schermo, poi dal buio si delinea una piccola forma chiara accovacciata (stanno, i figli in fieri, rannicchiati come cuccioli in una tana).


“Lui” si agita, forse percepisce l’accelerazione del cuore della mamma. Non è lo stesso battito di sempre, quieto, fedele, quello che riconoscerà appena venuto al mondo, sul petto di lei. Niente, bambino, scusa: volevamo solo vederti, torna a dormire.


Quarto mese. Da pochi giorni ha superato il Limite. Altri, come lui, già finiti. All’ospedale dietro casa vanno la mattina del martedì, alle 9. Giovani donne tese, accompagnate dall’amica più cara. Non oserei fermarle, né chiedere: non farlo. Sono sole forse, o lavorano in nero, o non sanno chi è il padre. Eppure vorrei dire alle ragazze pallide del martedì mattina che quello è già figlio loro. Sarà solo un’ombra forse dapprima, poi un taciuto rimpianto, poi un dolore. Un dolore di cui non si dice. Come non esistesse. La memoria di un figlio non nato è l’ultimo tabù.

 
Quale dolore poi? L’aborto è un diritto. In Francia l’hanno messo in Costituzione, il 4 marzo, la Torre Eiffel illuminata a giorno, per festeggiare.

 

Ma tu, piccolo, stai tranquillo, tu sei desiderato: e, in quanto desiderato, sei già un uomo. Già hai un nome. Non l’hanno, gli strappati. O forse sì, nei pensieri della madre. Ma imparerà che di quel figlio non bisogna parlare. Censura: non si può ammettere quel dolore, né rimpiangere il grande amore che “lui” sarebbe stato.