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Il rapporto fra editori e autori
L’Italia è una nazione di santi, navigatori e poeti (o romanzieri) che non riescono a farsi pubblicare, quindi vivono convinti che il sistema editoriale sia un complotto ai loro danni: un'analisi
Quando si sarà posato il polverone sul mancato invito di Saviano a Francoforte, sarà il caso di glossare la frase con cui Innocenzo Cipolletta, presidente dell’Aie, ha aperto le scuse rivolte ai quarantuno autori firmatari del manifesto sulle “ingerenze della politica negli spazi culturali”. In un’allocuzione ripresa dai quotidiani, Cipolletta ha esordito dicendo che “innanzitutto non c’è, non ci può essere contrapposizione tra editori e autori perché siamo tutti dalla stessa parte”. Premessa interessante, poiché presuppone sì l’esistenza di una controparte, che però non è “la politica”, secondo il termine un po’ vago utilizzato nell’appello; si deduce sia invece il pubblico, poiché, continua Cipolletta, “per l’editore gli autori sono protagonisti della propria attività”, ossia produrre libri da smerciare, e “per gli autori noi siamo lo strumento attraverso il quale vanno verso il pubblico”.
Messa così, la sinergia appare un remake dell’alleanza fra trono e altare, con gli editori a detenere il potere economico e istituzionale, e gli autori a fornire una nobile struttura spirituale onde alimentarne il potere sui miseri. Del resto Gian Arturo Ferrari, in Storia confidenziale dell’editoria italiana (Marsilio, 368 pp., € 19 euro), aveva ritratto il settore proprio come “stretto tra il Dio della cultura e il Mammona delle leggi economiche”. L’affermazione di Cipolletta contiene un’intuizione: a falsare il rapporto fra autori ed editori è proprio la pretesa, da parte dei lettori, di un’editoria totalmente disinteressata. Guardano infatti con ostilità al vivificante compromesso editoriale e tanto più alla committenza, i due aspetti che consentono agli autori di scrivere cose pubblicabili; non è un caso che, di recente, vanti le vendite più spaventose un autore autopubblicato, il generale Vannacci.
Accade perché l’Italia è una nazione di santi, navigatori e poeti (o romanzieri) che non riescono a farsi pubblicare, quindi vivono convinti che il sistema editoriale sia un complotto ai loro danni: coi miei occhi ho visto un quidam protestare sul profilo Instagram di Einaudi, dicendo che anziché a Corrado Augias sarebbe stato meglio dare spazio a nuove firme. Sottinteso, lui stesso.
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