Una fogliata di libri
La salvezza dell'Europa passa da Novalis
L'esclusione delle radici cristiane dall'Europa rappresenta una crisi culturale, sostituendo una tensione spirituale con un dogmatismo burocratico privo di autorità vera: spunti di riflessione dal primo che teorizzò questo concetto, "Cristianità o Europa"
Sul finire del 1799, osservando gli avvenimenti che a partire dalla Rivoluzione francese e poi con Napoleone stavano cambiando il volto dell’Europa, il giovane poeta e filosofo tedesco Novalis compose un breve pamphlet, o forse è meglio dire un’orazione, per evocare una pacificazione del continente, intitolato “Cristianità o Europa”. Qui si traccia una sorta di storia idealizzata del cristianesimo medievale, si mostra la crisi della religione tra Lutero e l’Illuminismo, si profetizza infine un futuro in cui l’Europa sia ricomposta nella sua unità come quando, nel Medioevo, “un’unica Cristianità abitava questa parte del mondo plasmato in modo umano; un unico, grande interesse comune univa le più lontane province di questo ampio regno spirituale”.
Già da queste poche righe si capisce come la soluzione di Novalis non sia una scelta tra Cristianità ed Europa, quella “o” non indica un’alternativa escludente, un aut aut, ma un “ossia”, quindi un’identificazione. Nella prospettiva di Novalis, Cristianità ed Europa non potevano darsi l’una senza l’altra: simul stabunt, simul cadent. Ora, a quasi un mese dalle elezioni europee, mentre in Francia l’onda lunga di quelle elezioni ancora dura, tornare a leggere e a riflettere sul classico di Novalis (o anche solo sul suo titolo…) potrebbe essere un esercizio interessante. Del resto, dovrebbe essere chiaro a tutti che l’Europa o è un’entità spirituale o non è.
La questione ormai storica dell’esclusione delle radici cristiane dalla costituzione europea aveva i tratti della profezia. Si trattava, infatti, non di una questione di laicità ma di una protoforma di cancel culture, volendo rimuovere uno dei semi da cui si sprigionava la spinta a creare questa stessa unione intrisa di quell’universalismo che è parte fondamentale del messaggio cristiano.
Tuttavia, qui, il punto, non è tanto “religioso” ma culturale. Edificare sul nulla non è possibile. La crisi di rigetto nei confronti del cristianesimo ha infatti comportato la sostituzione di una tensione spirituale un tempo canalizzata dalla Chiesa con una totemizzazione pseudoreligiosa dei diritti, elevati a nuovi dogmi di riferimento. A questo “dirittismo pietista” si è affiancato l’istinto leguleio di una macrostruttura burocratica che sembra alimentarsi della sua stessa bulimia legislativa, che cerca d’imporsi autoritariamente lì dove è totalmente deprivata di autorità. Perché l’energia luminosa dell’auctoritas, di chi si rispetta per la sua stessa autorevolezza, non gli deriva da nessuna parte, tantomeno da una “posizione di forza” costruita sul piedistallo dei secoli. Quel piedistallo è svanito lasciando al suo posto il nulla vestito di pretesa tecnica e impositiva burocrazia. Tuttavia, indietro non si può tornare. Ciò che è evaporato, è evaporato. Bisogna fare i conti con questo nulla!
L’Europa è anche il metodo scientifico, certo, la ragione, l’Illuminismo, e i pochi (perché fondamentali e intoccabili) diritti che garantiscono la libertà a ogni uomo. Ma tutto ciò, privato di carica spirituale, si riduce a mera emanazione burocratica, ai “compiti da fare a casa”, al delirio iper-razionalista dei cosiddetti competenti a cui, legittimamente, si risponde di solito con una sonora pernacchia. Nel delirio dei competenti s’intravede l’idea dell’individuo ridotto a funzione di sistema o a punto di un piano cartesiano. Lo sballo computazionale dei numeri degli esperti (con il loro scolastico mito dell’esattezza) è rifiutato non tanto perché noioso e paludato, ma perché completamente privo di carica spirituale. A quei numeri non si accompagna niente altro che i numeri stessi.
Lo “spirituale” è la prospettiva in cui porre le cose, il senso in cui inquadrare un agire che non può essere ridotto a mero benessere aggiuntivo. Altrimenti il rischio è che, per poter scorgere una scintilla da chiamare spirito, si preferisca vedere il mondo bruciare piuttosto che subire la burocratizzata e competente ciclicità dell’ordinario.
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