Tutto ciò che ho amato

Enrico Paventi

La recensione del libro di Aharon Appelfeld, Guanda, 250 pp., € 20 euro

Felicemente tradotto da Ofra Bannet e Raffaella Scardi, questo romanzo del celebre narratore israeliano Aharon Appelfeld (1932-2018) è ambientato in particolare a Czernowitz, in Bucovina, e ha per protagonisti ebrei assimilati di lingua tedesca, non credenti né praticanti, amanti della letteratura e della musica, felici di immergersi nella natura della regione.


Paul Rosenfeld ha genitori israeliti. E’ figlio unico, ha appena compiuto nove anni e scopre ben presto che il padre se ne andrà di casa; instaura un rapporto totalizzante con la madre destinato però a incrinarsi quando la donna si recherà a lavorare in una cittadina lontana e troverà un nuovo amore. Da quel momento il bambino trascorrerà molto tempo insieme alla bambinaia, Halina, e al papà pittore che, accusato di produrre “opere degenerate”, è caduto in depressione e – ossessionato sia dai propri demoni interiori sia dal diffuso antisemitismo – si è dato all’alcol; nel contempo cresce la sua attrazione per i cosiddetti “ebrei barbuti”, dei quali scruta curioso lo strano modo di pregare. Osserva al riguardo il giovanissimo io narrante: “Sedevano e cantavano a occhi chiusi. Un canto differente da quello della mamma e di Halina; avevo la sensazione che cantando scavassero per estrarre dal ventre della terra un’oscurità densa, e fu proprio ciò che accadde: attimo dopo attimo l’oscurità invase la stanza e avvolse gli uomini sulle panche”.


A ciò va aggiunto che Paul non va a scuola a causa di una forma di asma e tende dunque a chiudersi – sempre più sradicato e disorientato – in un mondo onirico che Appelfeld descrive in maniera assai suggestiva conferendo alla narrazione un ritmo tanto rapido quanto costante e dimostrandosi capace di variare i registri espressivi passando dai toni dell’idillio a quelli del dramma, di formulare dialoghi calibrati ed essenziali, di utilizzare un lessico conciso ed efficace.

 
Va inoltre sottolineato come il romanzo, che procede per brevi capitoli, sia denso di avvenimenti: vi si susseguono lutti, matrimoni, funerali e soprattutto trasferimenti di casa in casa, di paese in paese, di treno in treno, di nazione in nazione mentre, intorno, si stringe tanto la morsa antisemita quanto quella della solitudine: preludio della persecuzione delle vite che, di lì a poco, darà luogo alla Shoah – allo sterminio perpetrato con fredda determinazione e sistematicità.   

 

Tutto ciò che ho amato
Aharon Appelfeld
Guanda, 250 pp., € 20 euro

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