Una fogliata di libri

Io?

Giulio Silvano

La recensione del libro di Peter Flamm edito da Adelphi, 143 pp., 18 euro

"Adesso devi solo riposare. Non devi pensare, non devi raccontare niente, solo dormire. C’è tempo per ogni cosa. La guerra è finita, e tu sei qui con me. Ora va tutto bene, no?”. Un uomo è appena tornato dalla guerra, è il 1918, e non riconosce le persone intorno a lui, non si riconosce. “Sto dentro al mio corpo e lo sento giacere”, dice, “le mani sulla coperta, il sedere sulla stoffa morbida, il cervello sguazza nel cranio, attraverso i muscoli corrono nervi bianchi e vene scure. Chi sono io, chi sono io?”. Lui adesso è un altro uomo – o si sente un altro uomo – “è semplicissimo, basta solo cambiare abito, i nomi fanno le persone, e io ora sono il dottor Hans Stern”. Dice di aver rubato il passaporto da umile fornaio morto sul fronte, Wilhelm, di esser diventato il dottor Stern e di essere tornato a Berlino a casa sua. E’ accusato di un crimine e noi non sappiamo se davvero c’è stato uno scambio, volontario, di persona, o se tutto è un delirio, frutto delle ferite e dello sconvolgimento dopo i mesi passati in trincea, sotto le bombe. Dei testimoni non possiamo fidarci. Come scrive nella postfazione Manfred Posani Löwenstein – postfazione dal titolo chiave: “Un morto che parla” – “i disturbi del protagonista somigliano all’interferenza tra due segnali radio. Ogni cosa è scissa, lacerata”. Hans – o Wilhelm – è un impostore o un malato? Quando ci racconta del suo adattarsi a una vita borghese, mente o è in delirio? Il libro è un esercizio che gioca con la percezione e con la fiducia che il lettore può avere nel narratore, e negli altri personaggi che appaiono e che cercano di smascherare il protagonista. “Non sono io qui, non è mio questo braccio che si alza, non sono miei questi capelli ora bianchi, non è mio il crimine, non è mio il crimine”.

Adelphianissima la biografia dell’autore Peter Flamm, che si chiamava in realtà Eirich Mosse. Ebreo nato a Berlino a fine Ottocento. Borghesia urbana, parentele con Erwin Panofsky e futuri Nobel della Chimica. Da psichiatra ebbe in cura i reduci della Prima guerra mondiale affetti da shell shock, nevrosi e stress causati dal conflitto. Suo fratello, che si chiamava Hans, morì a Verdun nel ’16. Il libro Io?, Ich?, è il suo esordio, lo pubblica nel 1926 e La Neue Freie Presse lo recensisce dicendo che: “Le frasi tremano di eterna tragedia umana”. Fino a oggi non era mai stato tradotto in nessuna lingua (questa è la prima volta, con traduzione di Margherita Belardetti), nonostante avesse avuto un discreto successo – lo consigliarono anche Stefan Zweig e Albert Ehrenstein. Come molti del suo ambiente, dopo la presa di potere di Hitler, Mosse partirà dalla Germania per non tornarci più. Prima a Parigi e poi fino a New York. Amico dei Mann, ebbe tra i suoi pazienti persone come William Faulkner, prima di morire a Manhattan negli anni Sessanta.

    

Peter Flamm
Io?
Adelphi, 143 pp., 18 euro

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