Una fogliata di libri

Non scusarti per quel che hai fatto

Lorenzo Pataro

La recensione del libro di Mahmud Darwish edito da Crocetti, 208 pp., 17 euro

Non è certamente un caso che sia uscita proprio di questi tempi, mentre in Palestina divampa la guerra e l’orrore, un’importante traduzione di colui che è stato definito il poeta nazionale di quella terra: Mahmud Darwish, scomparso troppo presto nel 2008. Scrivo importante per diversi motivi: innanzitutto l’editore per cui esce, che da anni porta avanti un discorso di qualità sulla poesia di tutti i tempi e che avendo da poco allargato il suo mercato e la sua visibilità anche in libreria permette a una voce rivoluzionaria come questa finalmente di essere apprezzata anche in Italia su larga scala; in secondo luogo la qualità della traduzione a quattro mani a cura di Sana Darghmouni e Pina Piccolo; e infine il libro scelto, del 2004, che appartiene a una fase particolare della sua produzione poetica, in cui la poesia della resistenza dei primi esordi viene risemantizzata, sempre però tenendo presente il tema-fuoco sempre caldo del destino palestinese.

In questa opera infatti la poesia militante sembra lasciare spazio ai grandi temi universali di ciò che chiamiamo vita e ciò che chiamiamo morte e tutto quello che si muove in mezzo a questi poli: il senso di spaesamento, l’oblio, la nostalgia, l’esilio perenne a cui siamo tutti votati, la memoria come atto e manifesto di resistenza, la perdita progressiva dell’identità. Eppure, nonostante sembri che questo sia il libro meno politico tra quelli da lui scritti – sorprende che il termine “Palestina” compaia solo una volta in maniera diretta – è come se qui quella dimensione fosse sottesa e anzi generasse un’eco, diventasse una causa di portata innanzitutto umana quando esce fuori dai suoi confini e si fa cartina tornasole da cui il poeta guarda soprattutto il Mediterraneo e realizza un grande omaggio soprattutto ai grandi poeti arabi che lo hanno preceduto. L’amore per la sua terra è materico, c’è un’attenzione cromatica e chirurgica alla vegetazione, alla fauna, alle persone che passano tra i versi come fossero uccelli nel cielo quando vengono colte nel loro passaggio breve e poi le esperienze e soprattutto gli amori vissuti nelle altre città come Beirut, Tunisi, Damasco, la stessa Gerusalemme. Il tentativo dell’autore, qui, sembra essere stato quello di realizzare come una geografia di commiato dal suo passaggio terreno e in questo senso si spiega il ripercorrerla a ritroso per ritrovarne i fili perduti e fare pace con le vite vissute e le vite potenziali quando scrive lapidariamente: “Non scusarti per quel che hai fatto, mi dico in segreto. / Al mio altro ‘io’ dico: // eccoli, i tuoi ricordi, tutti visibili:/ la noia di mezzogiorno nella sonnolenza di un gatto / la cresta del gallo / la fragranza di salvia / il caffè della madre /  la stuoia e i cuscini”.

    

Mahmud  Darwish
Non scusarti per quel che hai fatto
Crocetti, 208 pp., 17 euro

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