Una fogliata di libri

Durante le vacanze, rileggersi Dorian Gray

Michele Silenzi

Attraverso i paradossi di Lord Henry si impara tanto la logica (pietra angolare del pensiero razionale, prima vittima dell’onnipervaisvo emotivismo vittimista contemporaneo) quanto la provocazione e quindi il ribellismo libertario (che dovrebbe essere inevitabile per ogni giovane) contro le ortopediche catene del linguaggio e del pensiero

Dentro una vecchia scatola di vecchi libri ho riscoperto, nell’elegante formato economico d’antan degli Oscar Mondadori, la mia copia, pensata perduta dai tempi del liceo, de “Il ritratto di Dorian Gray”. Ho sentito subito un’irrefrenabile tentazione, cui non si poteva non cedere, of course, di rileggere la vicenda di questo bellissimo giovane che perde l’anima nella contemplazione della sua stessa bellezza divenuta opera d’arte.

L’ho trovato datato, artificioso e splendido. Indispensabile come lettura per le vacanze per i nostri ragazzi, se non altro per gli affettati aforismi di Lord Henry Wotton, così immorali da far impallidire anche un critico del politicamente corretto Lord Henry, maestro di vita e d’immoralismo per il giovane Dorian Gray, e improbabile necessario maestro per la gioventù colta (diciamo quelli che leggono), schiavizzata dal pensiero del parlare retto. 
Negli aforismi di Lord Henry c’è il principio paradossale di una perfetta anti-educazione. Un piccolo esempio: “Oggi molte persone muoiono per una infiltrazione progressiva di buon senso, e si accorgono troppo tardi che le sole cose che non si rimpiangono mai sono le proprie pazzie”. Poi, parlando di coloro che dispensano buoni consigli, afferma: “Agli uomini piace molto regalare proprio quello di cui essi mancano. Io chiamo questi atteggiamenti gli abissi della generosità”.

Amare il paradosso è l’anti-correttezza per eccellenza, anche a livello semantico. Il paradosso è un formidabile esercizio logico e quindi dell’intelligenza. È l’unica espressione che contiene moltitudini, contro la stitichezza intellettuale del parlar corretto, e mostra la vivace contraddittorietà dinamica in cui consiste l’esistenza. Il paradosso è sempre debordante, sempre esagerato, tutt’altro che retto e misurato ma allo stesso tempo, grazie alla sua forma logica, tiene in sé ciò che altrimenti sarebbe inconciliabile. Tiene il caos in equilibrio. Attraverso i paradossi di Lord Henry si impara tanto la logica (pietra angolare del pensiero razionale, prima vittima dell’onnipervaisvo emotivismo vittimista contemporaneo) quanto la provocazione e quindi il ribellismo libertario (che dovrebbe essere inevitabile per ogni giovane) contro le ortopediche catene del linguaggio e del pensiero. 
Inoltre nel libro si coltivano molti vizi, tra gli altri il fumo, esaltando la potenza estetica (“divento incredibilmente bello con una sigaretta in mano” dice Woody Allen in Manhattan) di questo vizio – che da norma è tornato a essere quasi rivoluzionario – contro il tossico salutismo contemporaneo che è una delle tante forme “addolcite” e altruistiche di rieducazione.

Sta scritto sulla impeccabile quarta di copertina di questa vecchia edizione (misurando tutta la distanza rispetto alle “quarte” moraleggianti delle attuali versioni in commercio) che Wilde non fa altro che esaltare “la supremazia dell’artista sulle leggi morali… contro ogni moralismo utilitario e falsamente progressista”. 
Al di là delle solite, scolastiche, ma comunque esatte letture sul decadentismo estetizzante del romanzo, comunque non privo di accenni moralistici che non sono altro che il tributo che l’autore paga alla propria epoca, ciò che emana dal libro è una grandiosa volontà di vita, che ne è il tratto, in fin dei conti, più sincero e coinvolgente. Parlando di Dorian Gray, Wilde scrive, “per lui la Vita stessa era la prima e la più grande delle arti; e tutte le altre non avevano maggior valore di una preparazione”.

Ma la vita come opera d’arte non è altro che una vita messa in pratica, una messa all’opera totale di se stessi e di tutto ciò su cui si può posare la propria mano e il proprio sguardo. Certo, inevitabilmente, questa idea ha una componente fortemente amorale, poiché di fronte a questa vita lanciata a passo di carica le barriere della morale non possono che essere ignorate. E il “perdersi” diviene un esito possibile, accettato e accettabile, per assaporare una diversa e più profonda conoscenza.