Una fogliata di libri

Storia naturale della distruzione

Giuseppe Perconte Licatese

La recensione del libro di Winfried Georg Sebald edito Adelphi, 152 pp., 12 euro

Le catastrofi sono il punto in cui gli uomini, da quella che hanno creduto essere la propria storia di soggetti autonomi, cadono nello stato di oggetti di un processo ciclico e inesorabile. Questo l’insegnamento, sottolineato anche dal titolo scelto dall’editore, che l’autore trae sotto l’impressione e per l’accumulo delle rovine esaminate occupandosi della campagna di annientamento condotta dai bombardieri alleati sulla Germania nel 1943-1945.

In questa serie di lezioni, Sebald muoveva – era il 1997 – da una vistosa mancanza: nel Dopoguerra quasi nessuno aveva nelle patrie lettere tentato di descrivere questa esperienza, coerentemente con il silenzio generale osservato dai tedeschi circa l’entità della devastazione e dei lutti subiti dalla popolazione civile (ammutolimento analogo a quello dei sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki). Quelle poche opere in cui si era esperito il tentativo, qui impietosamente dissezionate, avevano ampiamente mancato, per reticenza o per una discutibile ricerca estetica, il bersaglio. Molto più utile allora, per avvicinare il vero, rivolgersi alla letteratura prodotta dagli specialisti: a quanti hanno ricostruito le premesse dottrinarie, l’organizzazione e l’esecuzione tecnica dei bombardamenti, o il generarsi delle gigantesche tempeste di vento e di fuoco che hanno incenerito Amburgo lasciando corpi fusi nell’asfalto come antichi abitanti di Pompei, o le cause di morte e lo stato dei cadaveri, o ancora il problema botanico, affascinante, della ricrescita della vegetazione sulle macerie.

Sebald ha recuperato immagini ed esperienze fondative, proprio perché rimosse, dell’attuale fisionomia urbana e della travagliata psiche del suo paese (come dimostrano le lettere ricevute dopo una prima pubblicazione di queste lezioni), con lucidità e pietas, provando che un tema che mostra il popolo colpevole anche come popolo vittima – perturbante constatare come un comune destino di combustione toccasse alla popolazione civile delle città e agli internati nei lager – non è e non può essere esclusiva di revisionismi storici in malafede. 
Un dato, però, rischia di essere offuscato dalla metafora, altrove illuminante, della naturalità della distruzione: che non si trattò di alcuna eruzione vulcanica, ma di un esercizio di potenza totalitario deliberato da stati maggiori e da governi, di colossali crimini di guerra per i quali nessuno è mai andato alla sbarra. Lo stesso Sebald è costretto a confrontarsi nelle ultime pagine con questa obiezione e lo fa sbrigativamente con l’argomento controfattuale che i nazisti, i primi a sperimentare con perverso piacere i bombardamenti terroristici, potendo avrebbero fatto altrettanto. Argomento comprensibile, ma ben insoddisfacente per quello che cerchi di essere – se non è vano – un giudizio morale della distruzione.

        

W. G. Sebald
Storia naturale della distruzione
Adelphi, 152 pp., 12 euro

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