Una fogliata di libri - lettera da uno stupore

Questo morire che già cova vita

Marina Corradi

Un campo di girasoli in Monferrato e la ciclicità della vita e della morte: consigli preziosi, da imparare a memoria

Non venivo in Monferrato da tanto. Ho spalancato gli scuri stamattina sulle colline, riarse dal caldo di agosto. Afa: l’aria immobile, all’alba, come in un’attesa. Ma ho sussultato nel vedere, alla mia destra, un reggimento schierato: una distesa di girasoli splendenti, rigorosamente in fila, tutti volti al sole.
 

Sono rimasta immobile a guardarli, tanto erano belli quei mille fanti d’oro, baldanzosi. Dimentica di tutto, incantata. Lo thauma, lo stupore degli antichi greci, ho pensato, da lontani distratti studi. Strano, come una malinconica come me si commuova per un campo di girasoli. Ero triste, non lo sono più – come mi fosse stata fatta una promessa buona. Perché, poi? Indago per abitudine, dopo una vita di psicoanalisi. Perché erano un nulla a febbraio, quei semi nella terra. Roba morta nella desolazione di certi giorni di inverno: il cielo limpido, ma più niente di vivo nella terra frantumata di zolle.
 

Erano nulla, i semi: e ora che schiera lucente, e quanto diritti, e quanto alti sono. Mi affascina il volgersi parallelo al loro dio, la faccia tonda, la corolla fiammante spalancata. Seguono, evidentemente, un ordine. Hanno obbedito nel nascere, obbediranno insieme, nel morire. Le distese dei capi chini e bruciati, a fine settembre, non sono, con evidenza, un esercito sconfitto?
 

Ma, bisogna sapere, occorre ricordarsi. Questo morire già cova vita. La moltitudine di semi nelle corolle spente attende la sua ora. Li seppelliranno nella terra fredda, e forse ancora il gelo spaccherà le zolle. Eppure, sotto, nel buio, già i girasoli cominceranno a germogliare. Ad aprile si affacceranno alla luce – chiari, timidi, sparuti. Nel sole di maggio si inorgogliranno, a fine giugno spalancheranno le corolle, arditi. È assoluta, la promessa dei girasoli in quest’alba di agosto. Non omnis moriar. Me lo ripeteva spesso mia madre: Orazio, credo. Non morirò tutta, non morirò per sempre. Dovrei impararlo a memoria, questo campo di girasoli ardenti – adesso che fa notte, la sera, sempre un poco prima.

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