Una fogliata di libri

Coetzee, ecco un grande autore v-i-v-e-n-t-e

Marco Archetti

Alcuni lettori dichiarano di leggere solo autori defunti, un'affermazione che riflette vanità e chiusura mentale. Tuttavia, aprirsi a nuove opere può portare scoperte inaspettate, come "Il polacco" di J.M. Coetzee, pubblicato nel 2023

Capita spesso di imbattersi in qualcuno – più di qualcuno, a dire il vero – che parlando di libri se ne esce con: “Ah, io leggo solo scrittori morti”. Non si capisce cosa intenda dire chi lo dice, che tipo di autocertificazione sia convinto di offrire e perché lo faccia. Ma lo si perdona, il lettore è anche un animale vanesio che si crogiola mugolando in queste ovvietà di nicchia, ama dare in giro bigliettini da visita coi virgolettati di sé stesso e non sospetta di rendersi ridicolo. Eppure, ahinoi (che lettori lo siamo e quindi possiamo dirci la verità), spesso lo è: attacca bottoni inusitati, esibisce la propria macinata mercanzia di pagine, gigioneggia, adelpheggia e solfeggia; perfino Orazio nelle sue Satire prendeva in giro questo genere di pedanti che sventolano pagine.
 

I lettori, poi, non sono i lettori: ci sono infiniti sottogruppi, e per ogni sottogruppo esistono specifiche manie, vizi irrevocabili, ineguagliabili ossessioni, apriorismi e fanatismi – buffo che si dica: leggere ti rende più aperto, perché io no, io non sono aperto, io sono chiusissimo, e più leggo più mi chiudo, e chi non ama ciò che io amo ovviamente non capisce nulla.
 

Però ogni tanto bisogna pur andar contro ciò che si è, nella vita e nella pagina. Può non sfiorarci mai il sospetto di esserci persi qualcosa? Così arriva l’estate (che nel frattempo è passata) e uno che fa? Scorre le vituperate liste, decide di fidarsi di qualcuno – chi scrive, per esempio, cambia ogni anno compilatore di riferimento – e si trova a scoprire una serie di romanzi che non aveva letto e che aveva solo sfiorato, o che aveva visto ma era passato oltre.
 

“Il polacco”, per esempio. Un romanzo di J. M. Coetzee uscito nel 2023 – sì, lui, Coetzee, il misanglofono, il Grande Scostante, l’intervistato monosillabico, – che si è rivelato uno dei migliori romanzi letti negli ultimi anni. Un romanzo che sa dire l’indicibile non nel senso che sa dire ciò che non trova parole, ma che sa dire ciò che nemmeno accade: un pianista polacco, una donna spagnola, un innamoramento unilaterale, e niente, niente che sia vagamente romantico. Un amore che non lo è, una relazione che non lo è, un incontro che non lo è. Nessun cerchio che chiuda. Anche perché tra i due – che restano due sé – si frappone la lingua, che non è la loro lingua madre. Per il polacco e Beatriz – è questo il nome della donna organizzatrice della serata musicale durante la quale si conoscono – parlarsi è difficile, capirsi impossibile, desiderarsi non è gioiosamente reciproco, e la non comprensione è accettatta con una rassegnazione mai capace di ribellarsi al destino del rumore bianco – la lingua attraverso la quale (non) si intendono sembra solamente questo.
 

Il pianista non è un gran pianista, ne sappiamo quel poco che ne sa Beatriz (la narrazione segue solo lei) e ha un tratto perfino patetico, ma si sospetta ci sia altro in lui: ama Dante, dice che la Polonia fa schifo e si interroga su Dio e Maria con una domanda che fa tremare. E Beatriz, donna abbastanza comune, non ne è affascinata, ma si sospetta che lo sia. Un romanzo che dice: non sappiamo mai cosa rappresentiamo per gli altri. E che l’ignoranza dell’altro fa parte dell’esperienza che ne facciamo.
 

M. Coetzee – grande autore v-i-v-e-n-t-e – ci regala un racconto che ha l’autorevolezza di un classico, capace di descrivere la vita che non si vive, la vita che non si dice, gli incontri che non riescono. Eppure restano. Ma vai a sapere perché.

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