una fogliata di libri
La rivoluzione ungherese e l'imperialismo totalitario
La recensione del libro di Hannah Arendt edito da Raffaello Cortina Editore, 108 pp., 14 euro
Nata ad Hannover nel 1906 e morta a New York nel 1975, Hanna Arendt fu in stretto contatto con alcuni dei maggiori protagonisti della scena filosofica del Novecento, tra cui spiccano Karl Jaspers, con il quale si laureò con una tesi su sant’Agostino, e Martin Heidegger, a cui fu a lungo legata anche affettivamente. Appartenente a una famiglia ebrea, negli anni Trenta del secolo scorso si impegnò nel movimento sionista e in seguito all’affermazione del nazionalsocialismo emigrò prima in Francia e poi negli Stati Uniti. Gli interessi filosofici della Arendt si concentrarono in particolare sulle questioni politiche e molto rilevanti risultano i suoi studi sul totalitarismo. In questo contesto si colloca anche lo scritto dedicato alla rivoluzione ungherese che, iniziata nell’ultima settimana dell’ottobre del 1956, si concluse dopo una decina di giorni, brutalmente schiacciata dalla repressione sovietica. Parlando di questi fatti due anni dopo il loro drammatico svolgimento, la Arendt li descrive con le seguenti parole: “Un evento che non si può misurare nei termini immediati della vittoria e della sconfitta … per l’anniversario della rivoluzione questo popolo, sebbene vinto e impaurito, ha avuto il coraggio di uscire dal buio e di dimostrare che la memoria, tanto quanto il terrore, echeggia ancora nelle sue dimore – quel tipo di ricordo indispensabile per immortalare le azioni della rivoluzione, assicurando loro infine un posto nella storia”. A colpire la Arendt è il fatto che la rivoluzione ungherese era scoppiata senza che nessuno la prevedesse e senza che venisse preparata, senza un’organizzazione che la sostenesse o un leader che la guidasse: fu caratterizzata da una inattesa, sorprendente spontaneità, animata soltanto dal desiderio di un intero popolo di vivere liberamente. Non per caso, i due interventi introduttivi presenti nel libro, scritti da Simona Forti e da Gabriele Parrino, si intitolano “Il miracolo di una rivoluzione” e “Un inno ai Consigli”. Agli occhi della Arendt, gli ungheresi fecero venir meno la certezza che fosse impossibile opporsi alla terribile macchina del totalitarismo comunista, e questo fu un vero prodigio meritevole di autentica ammirazione. Le ultime parole pronunciate da una radio dell’Ungheria libera furono le seguenti: “Oggi tocca a noi, domani o dopodomani sarà un altro paese, perché l’imperialismo di Mosca non conosce limiti e sta solo cercando di prendere tempo”. Parole che non sembra azzardato definire profetiche!
Hannah Arendt
La rivoluzione ungherese e l’imperialismo totalitario
Raffaello Cortina Editore, 108 pp., 14 euro
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