una fogliata di libri
Piedi freddi
La recensione del libro di Francesca Melandri edito da Bompiani, 272 pp., 17 euro
"E così ho detto a un amico: ‘Mi sembra di essere nell’inverno del 1941, con Hitler che pare inarrestabile e l’America preda degli isolazionisti’. E lui mi ha risposto: ‘Sei la solita scriteriata ottimista, a me pare di essere nel ’39’. Ma abbiamo torto entrambi. Il tempo presente non è mai il calco di nessun altro tempo. Soprattutto, è l’unico che ci sia dato. E il pessimismo è il privilegio di chi non sta lottando per la sopravvivenza”. E’ verso la fine del libro che si trova questo breve dialogo che fa da sintesi perfetta a quanto scrive per duecento e più pagine Francesca Melandri. Contro ogni retorica, quella della Storia che si ripete e della Storia che è maestra di vita: se fosse così, non saremmo un’umanità intenta a scannarsi fin dall’alba dei tempi. E invece. L’autrice scava nella memoria, quella delle frasi dette e non dette, nei silenzi del padre che visse la guerra vera, il freddo, la fame. Era uno di quelli che fece la “Ritirata di Russia”, nome pomposo che sa tanto di epopea mitica, ma che altro non fu che il ritorno a casa dopo la disfatta, il terrore, la morte di amici e compagni con cui si è condiviso tutto tra i miraggi di qualche isba calda e il bianco perenne della neve di quella stessa Ucraina che da due anni e mezzo è oggetto della cosiddetta “Operazione militare speciale” ordinata da Putin. L’invasione di un paese sovrano che ha la colpa, da sempre, di guardare un po’ troppo a ovest anziché alle torri merlate del Cremlino moscovita. E allora ecco il paragone che viene naturale: il contesto è quello, i nomi dei luoghi sono quasi gli stessi, il Don, Nikolajewka, Dnipropetrovsk. Come uguali sono i volti spauriti dei ragazzi mandati al fronte mentre avrebbero preferito frequentare stadi e biblioteche. Piedi freddi non è però un memoir, non è il ricordo di quello che fu, come magistralmente fecero Rigoni Stern, Revelli, Corti. E’ un invito a interrogarsi sul significato della pace e della guerra, fatto a noi che “stiamo al sicuro nelle nostre tiepide case” e che siamo nati nella pace e nella comodità. Senza il lugubre suono delle sirene, senza patire la fame agognando un pezzo di pane raffermo o una buccia di patata chissà quanto vecchia. Pace è la parola più inflazionata che ci sia, è facile da dire, suona bene, non costa nulla pronunciarla, inserendola nei contesti più disparati. Ma cosa significa davvero la pace? “Come ci comporteremo, se un giorno la guerra smetterà di essere una serie tv e diventerà maledizione di vita vissuta? Che scelte faremo, quando la Storia verrà a rubarci le chiavi di casa?”. Forse è da qui che bisogna partire prima di lasciarsi andare a giudizi tranchant incisi sulla pelle di chi in casa propria vede entrare schegge di bombe anziché pane. Evitando ogni inutile retorica.
Francesca Melandri
Piedi freddi
Bompiani, 272 pp., 17 euro
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