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Una fogliata di libri - Lettera da un incubo

Undici minuti

Marina Corradi

Dopo l'invasione russa dell'Ucraina, anche vivere in un paese della Nato non garantisce più la sicurezza di prima. Le nuove generazioni devono rendersene conto: "Kyiv è Europa"

L’altra mattina, primo titolo sul web: “Un missile ipersonico partito da Mosca arriverebbe a colpire Milano in 11 minuti”. Federico Rampini, sul Corriere. Conosco a spanne lo stato delle cose. Le batterie schierate a Kaliningrad, e i missili ipersonici cinesi che circumnavigano la Terra a 6.700 all’ora. Con quali testate? Ma no, “a uso civile”, assicurano – vorrei capire quale.

Ne ho letto, insomma, qualcosa. Ma gli undici minuti da Mosca a Milano sono un pugno. Giro il pezzo a due figli: “Massì mamma, dai, cose che non possono succedere, siamo nella Nato”, fa il maggiore.

Anch’io avrei risposto così, due anni fa. Ora questa certezza la sento scricchiolare sotto ai piedi. Con l’affacciarsi di potenze come la Cina, o l’Iran, con i droni a buon mercato, davvero basta la Nato?

Quel titolo mi ha preso male. Mi si riaffacciano in mente frammenti di uno sgradevole sogno, fatto prima dell’invasione russa, quando autorevoli osservatori la dicevano impossibile. Su un tabellone di Risiko vedevo una fila di carriarmatini colorati, graziosi, superare il confine ucraino. Ma, non si fermavano: senza trovare ostacoli traversavano Ungheria, Croazia, fino all’Adriatico. Infine, un flash di un istante: i grattacieli di Milano, i più arditi, con le finestre infrante. Orbite nere sulle strutture annerite dal fuoco. (Quel sogno, non l’avevo raccontato a nessuno).

“Ma va’, mamma, siamo nella Nato”. Io ho almeno sentito mio padre raccontare dello sfacelo sul Don; dai nonni ho ascoltato, incredula, delle bombe su Milano. La guerra finì tredici anni prima che io nascessi: nella storia, una manciata di secondi. Mi ha quasi sfiorato.

Nei figli la certezza della pace, succhiata con gli omogeneizzati, si è consolidata dentro un’abbondanza mai vista prima, garantita, dovuta, ovvia. E non riescono a vedere che Kyiv è Europa, né avvertono l’odio che cova nel mondo fondamentalista contro il “corrotto occidente”.

Ragazzi miei, e i vostri dolcissimi bambini, classe 2023. Undici minuti. Forse è vero l’aforisma di Karl Kraus: “Di ciò di cui non si può parlare, occorre tacere”.

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