Una fogliata di libri

La calcolatrice meccanica

Giancarlo Mancini

La recensione del libro di William Burroughs, edito da Adelphi, 305 pp., 24 euro

Scrittore spesso ricondotto alle avventurose vicende della sua spericolata biografia, o tutt’al più al suo romanzo più noto, Il pasto nudo, Burroughs ha saputo esercitare la scrittura saggistica con altrettanta originalità di quella creativa, come dimostrano i 43 saggi raccolti in questa silloge pubblicata per la prima volta nel 1985.
 

Se gli spunti di partenza sono dettati perlopiù dall’occasionalità, i temi affrontati all’interno di questi articoli sono spesso quelli centrali dell’opera dello scrittore. La parola dunque è oggetto di indagini tentacolari che conducono a risultanze diverse, non necessariamente in contraddizione fra loro. Di fatto è l’unica cosa che resta in un universo “casuale, senza Dio e senza senso”. Da un lato Burroughs esorta a violare la sacralità della figura dello scrittore. Ci si può infilare nella sua bottega e rubare tutto ciò che si vuole: “Parole, colori, luci, suoni, pietra, legno, bronzo, appartengono all’artista vivente.
 

Appartengono a chiunque possa farne uso. Saccheggiate il Louvre!”. D’altro canto è proprio lui, il creatore della tecnica del cut up, il taglio di testi altrui rimontati in un ordine diverso da quello originario, a sostenere perentoriamente che la scrittura non si può insegnare, non si può trasmettere da un soggetto all’altro con una serie di regole, “è come cercare di insegnare a qualcuno come sognare”.
 

Nei confronti dei mostri sacri della letteratura americana, Burroughs non solo non ha alcun timore reverenziale, come prevedibile, ma è capace, rovesciandoli come calzini, di giungere a conclusioni non banali, come quando parla di Hemingway come di uno scrittore intrappolato dentro il suo stile. Così come è imperdibile il racconto della visita da Beckett, con una bottiglia di whiskey perché gli avevano detto che non ne offriva, occasione per Burroughs di un fulmineo esercizio di ammirazione verso uno scrittore “puro”, disinteressato a tutto ciò che non appartiene alla scrittura. “Facile immaginarselo – scrive Burroughs – mentre volta disinteressato le spalle a un extraterrestre”.
 

D’altronde qui Burroughs non si occupa solo di letteratura, ma anche della musica più gettonata dell’epoca, dai Sex Pistols all’acme del loro breve successo ai Led Zeppelin, del pensiero di Freud, di sistemi di controllo e perfino del futuro della razza umana, arrivando a chiedersi, senza paura di agitare incubi eccessivamente mostruosi, se non ci sia da auspicare la “fusione dei sessi in un solo organismo” come il prossimo, inevitabile stadio dell’evoluzione umana.

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