Federica Manzon ha vinto il premio Campiello con Alma - foto Ansa

Una fogliata di libri - Overbooking

In libreria non si compra una categoria

Antonio Gurrado

Federica Manzon ha vinto il premio Campiello con Alma, unica donna tra i finalisti, negli stessi giorni in cui veniva diramata una shortlist del Booker Prize con ben cinque autrici su sei. Così i premi letterari si collocano all’intersezione di due linee interpretative della letteratura: ecco quali

Federica Manzon ha vinto il Campiello con Alma prevalendo su altri quattro finalisti, unica donna, negli stessi giorni in cui veniva diramata una shortlist del Booker Prize con ben cinque autrici su sei: Samantha Harvey, Rachel Kushner, Anne Michaels, Yael van der Wouden, Charlotte Wood. Quest’ultimo evento ha destato notevole eco anche perché, nel 1991, il Booker aveva mandato in finale solo autori, causando di lì a poco la nascita del Women’s Prize for Fiction, riservato alle sole autrici. Il punto è che i premi letterari si collocano all’intersezione di due linee interpretative della letteratura.
 

Una, quella macro, analizza a volo d’angelo l’andamento della produzione editoriale: ad esempio, un albo d’oro ci fa notare come una donna avesse vinto il Campiello già nel 1971 (Gianna Manzini con Ritratto in piedi), restando tuttavia l’unica nel giro delle prime trentacinque edizioni. Sotto questo aspetto, indagare l’identità degli autori permette di ricostruire tendenze, notare l’evoluzione dell’accesso alla visibilità presso il pubblico, comprendere che la parità fra scrittrici e scrittori è cosa buona poiché aumenta il numero delle firme e quindi la probabilità che escano bei romanzi.
 

L’altra linea è quella micro: a questi premi non partecipa l’autore ma il libro. In tal caso, l’albo d’oro non va considerato espressione di un gruppo sociale o di genere, bensì quale lista di romanzi eccelsi a prescindere dall’identità di chi li firma. È l’approccio del lettore edonista. Mi precipito a comprare qualsiasi opera di Rachel Cusk, Siri Hustvedt, Tiffany McDaniel, Ottessa Moshfegh, Daniela Ranieri o Miriam Toews, per dirne solo alcune, perché leggerle è un piacere di per sé; in libreria si compra un testo, non una persona o una categoria.
 

Per fortuna si tratta della stessa posizione del Guardian, che ha stigmatizzato il trionfalismo riduttivo delle “cinque autrici su sei”: rischia infatti di appiattire autrici molto diverse su una categoria vaga, che comprende mezza umanità, e finisce per presentarle come squadra senza nemmeno chiamarle per nome. Così svilisce il valore individuale di chi scrive, lavoro solitario che è faticoso per le autrici come per gli autori.

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