una fogliata di libri

Le navi perdute del capitano Franklin

Rinaldo Censi

La recensione del libro di Luigi Guarnieri edito da Einaudi, 307 pp., 21 euro

Nell’agosto del 1920, Robert Flaherty gira uno dei più famosi documentari mai realizzati, “Nanook of the North”, nel nord del Québec: penisola di Ungava. La trovate indicata sulla mappa geografica inserita nelle prime pagine del libro di Luigi Guarnieri, Le navi perdute del capitano Franklin.

Ungava si trova sulla baia di Hudson, appena sotto a quel labirinto mobile che compone il famoso Passaggio a Nord-Ovest. Già da dieci anni Flaherty si muoveva in quelle zone desolate. E chissà se in quel lasso di tempo, o nelle pause dalle riprese, qualcuno gli avrà mai raccontato la storia degli uomini bianchi dispersi nella vastità del paesaggio artico; di Aglooka o delle navi inghiottite nel nulla: la Erebus e la Terror. La domanda non è oziosa. Come ricorda lo stesso Guarnieri, molte delle notizie che possediamo, riguardo ai fatti avvenuti nel 1845, durante l’ennesimo tentativo di esplorazione del Passaggio a Nord-Ovest, cioè il collegamento tra oceano Pacifico e Atlantico, si devono ai racconti, ai ricordi dei nativi, gli abitanti di quelle zone selvagge e inospitali: gli inuit. Questo resoconto orale, però, è alquanto infido. Gli inuit sono abituati a confondere date e persone. Hanno una concezione del tempo e una cultura completamente diversa dalla nostra. Tutto il libro si muove dunque su un terreno instabile: procede per movimenti correttivi. Pochi sono i documenti superstiti; carte, diari, mappe sono andate perdute.

Ricostruire gli avvenimenti diventa un’operazione quasi congetturale. Guarnieri, con pazienza, cerca di mettere insieme i pezzi, servendosi, come sempre nei suoi libri, di una serie di pezze d’appoggio: le fonti. Confronta documenti, memorie. Come i componenti delle spedizioni che si sono succedute negli anni, raccoglie lembi di tessuto, ossa, posate d’argento, fruga tra i messaggi lasciati nei cilindri metallici dei cairn. Ne esce un libro teso, desolato, a cui non manca quel gusto, che gli è caro, per i tratti caricaturali. Bastano pochi e precisi aggettivi per comporre un ritratto.  

Costruito in quattro parti, quattro movimenti musicali (c’è una specie di furore disorientante nel primo: come se davvero i personaggi – e noi lettori – fossero persi in una zona minacciosa, labirintica e mobile; mentre il secondo, dedicato in buona parte a Charles Francis Hall, ha un respiro largo, quasi epico), il libro si chiude ad anello. Finisce dov’è iniziato. Durante il lungo percorso, che dalla metà dell’Ottocento giunge fino ai giorni nostri, la tecnologia ha permesso di chiarire diversi fatti. Ciò non toglie che questa storia di derive tra i ghiacci somigli a un’epopea. Anzi, a una leggenda. Come una di quelle che gli inuit hanno raccontato al capitano Hall.

 

Luigi Guarnieri
Le navi perdute del capitano Franklin
Einaudi, 307 pp., 21 euro

 

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