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Una fogliata di libri

Eliot e la modernità in cui ci troviamo a naufragare

Michele Silenzi

Non riusciamo a vivere insieme perché non sappiamo più cosa sia il mondo. Non abbiamo più bisogno di nulla, ma proprio per questo avvertiamo la mancanza di tutto

Chi ci viene in soccorso, dopo una zufolante stagione di pace, come dice Riccardo III, per farci capire il momento in cui ci troviamo? Come capire questo spazio e questo tempo che sono a metà tra una stabilità liberaldemocratica che si credeva infinita nella terra piatta della fine della storia, e un nuovo inizio che, come sempre, viene annunciato da cannoni che ci richiamano al piano, per dirla con Thomas Mann, ovvero alla realtà? “Qual è quella città sulle montagne / Che si spacca e si riforma e scoppia nell’aria violetta / Torri che crollano / Gerusalemme Atene Alessandria / Vienna Londra / Irreali”. Forse è ancora T.S. Eliot a racchiudere nei suoi versi la modernità in cui ci troviamo costantemente a naufragare. Una modernità che si manifesta come trionfale crisi permanente. Un tempo in cui “non riuscivano a trovare un sostituto per il senso”.

Perché qui si tratterebbe non di capire, ma di schizzare o intuire se vi sia un qualche carattere comune che s’impone: un “nuovo ordine” che non si sa cosa sia esattamente, ma che si preannuncia con il più radicale e reale riaffacciarsi della violenza in un paradossale mondo in cui, però, persino la parola che vuole solo dire la realtà per quella che è, ad esempio un uomo diverso da una donna, viene percepita come violenza.

“Potrei, dopo il tè e le paste e i gelati,/ aver la forza di forzare il momento alla sua crisi?”. Sembra emerga dai versi di Eliot l’idea che non riusciamo a vivere insieme perché non sappiamo più cosa sia il mondo; nella nostra epoca miracolosa in cui, di fatto, lo sappiamo bene, non abbiamo più bisogno di nulla ma proprio per questo avvertiamo la mancanza di tutto. Nell’epigrafe al più grande tra i poemi sta scritto “Sibilla cosa desideri?”. “Desidero morire”. Chi si percepisce immortale desidera uscire dalla condanna rappresentata da una permanenza in cui tutto diviene lo stesso.

J. Albert Prufrock, personaggio del giovane Eliot, dice di avere conosciuto ogni cosa. L’azione appare allora una sorta di impostura, in grado solo di replicare, ancora e ancora, ciò che già si è saputo, ciò che già è stato fatto. Tutto si muove nella circolarità del già accaduto. Anche ciò che appena prima di accadere era l’impensabile, nel suo manifestarsi è subito assimilato al ciclico dell’ordinario, “Perché già tutte le ho conosciute, conosciute tutte / Ho conosciuto le sere, le mattine, i pomeriggi, / Ho misurato la mia vita con cucchiaini da caffè”.

Gerontion è, invece, un vecchio che abita una casa in rovina. Ha perduto tutte le occasioni, ha vissuto per molti anni, ma per eventi accaduti la sua vita è stata poca cosa. Intanto, tutto si è fatto asciutto e sterile intorno a lui. Attende la pioggia come un miracolo che possa far fiorire ancora vita attorno a lui. “Dopo una tale conoscenza, che cosa è mai il perdono?”. Sembra che la vita sia un sogno da cui ci si sveglia alla fine, quando si chiudono gli occhi, ed è allora che si può davvero cominciare.

Nel viaggio dei magi cantato dal poeta, essi sanno di avere visto la Vita nuova che però è anche una morte, la cancellazione di ciò che era il mondo: “per noi questa nascita fu / Come un’aspra ed amara sofferenza, come la Morte, la nostra morte. / Tornammo ai nostri luoghi, ai nostri Regni, / ma ormai non più tranquilli, nelle antiche leggi, / fra un popolo straniero aggrappato ai propri idoli. / Io sarei lieto di un’altra morte”. Una morte che è tutt’uno con la rinascita. Nel momento in cui si arriva a una fase culminante, una fase di assoluta tensione tra l’era e il sarà, non può esservi pace.

Dopo avere intuito attraverso Eliot, bisogna però uscire da Eliot, ossia dalla disperazione calma e senza sgomento, così come egli stesso fece convertendosi razionalmente al cristianesimo perché non vedeva altra via. O quella strada, o la disperazione dissolvente. Ma ora, per noi, adesso, quale conversione?

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