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Una fogliata di libri - Lettera da un abisso

Il dolore delle madri

Marina Corradi

Il pianto delle madri è diverso: il figlio è stato una parte di loro e in qualche modo lo rimane per sempre. Dalla Russia all'Ucraina, da Gaza a Israele

Al settimo mese, d’improvviso, non sentiva più il bambino. Che lunga notte, senza nemmeno un piccolo calcio leggero. Giovane, prima gravidanza: col batticuore è corsa all’ospedale. Ecografia, esami: tutto bene, lui aveva solo sonno. Ma per la prima volta da molti anni l’ho sentita piangere. Ed era un pianto diverso, non più da ragazzina: da donna che in una notte capisce quanto già ama quel figlio, ancora sconosciuto. Lei piangeva come una madre, per la prima volta, e la nota tagliente del suo pianto mi ha trafitto. L’ho riconosciuto: era lo stesso di mia madre, quando dopo una lunga agonia le morì mia sorella quindicenne.
 

Il pianto delle madri è diverso. Perché il figlio è stato una parte di loro, e in qualche modo lo rimane per sempre. Per questo faccio fatica a guardare le palestinesi di Gaza chine su quei piccoli fagotti bianchi. E non riesco a pensare alle madri russe, cui nemmeno restituiscono un corpo; né alle ucraine che ora si vedono strappare i figli diciottenni, costretti a partire. Che occhi, devono avere: ragazzi che non vogliono, non vogliono andare a morire.
 

Il peggiore destino però è quello delle madri del 7 ottobre. Strappate al sonno, come in un incubo orbate sotto agli occhi di nidiate di bambini. L’inferno, dal nulla. Strappati via, quei figli, in un’amputazione, in un colpo di accetta. Se poi penso alle madri che da un anno hanno un figlio in ostaggio a Gaza, brutalizzato, torturato, io non so capire come il cuore di queste donne batta ancora. Un filo ostinato di speranza le anima: è vivo? Ma giorno dopo giorno il filo si fa sottile come la tela di un ragno.
 

Questo abisso di dolore di madri mi lascia muta. Non so come al mattino, quando dopo la misericordia del sonno ricordano ogni cosa, riescano a respirare. Quando mia madre morì, a novant’anni, aveva un’ ipertrofia del cuore: un cuore enorme, smisurato, che schiacciava i polmoni. Non mi stupii. Sapevo di cosa era gonfio quel cuore. Sformato dal dolore: ogni mattina, per quarant’anni, goccia che consuma la pietra.

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