Dog Painting 19 (1995) di David Hockney, uno delle centinaia di dipinti che l'artista ha realizzato raffigurando i suoi amati bassotti 

Una fogliata di libri

Cani degni d'essere raccontati

Marco Archetti

In "Billy il cane”, il quadrupede diventa simbolo universale di ogni tutore: ritratto in perenne movimento di una vita a spasso fra casa e studio, fino a spiegare il senso della rabbia umana, con uno sguardo volto dentro l'anima di chi scrive  

Cosa fa, di un cane, un cane degno di essere raccontato e non un gingillo da pet-book? Sandra Petrignani ci ha raccontato i suoi, in “Autobiografia dei miei cani”: sé stessa attraverso di loro, e viceversa – ogni cane assomiglia al padrone, ogni padrone assomiglia al cane, e ogni entità cane-padrone dice di tutto ciò che sta loro intorno, e inevitabilmente. Emanuele Trevi, con “I cani del nulla” alla fin fine ha parlato di noi, imperfetti, soggiacenti a gioie effimere e enigmi insolubili, e di loro, anzi, di lei, Gina, avanzo di canile, e della difficoltà (altrettanto irrisolvibile?) di trasformare la vita in una storia – “analfabetismo simbolico” è un’espressione-chiave, e chi scrive se l’è rivenduta come propria in qualche conversazione. Alberto Rollo, dopo averci raccontato Milano attraverso il proprio sguardo (si vede ciò che si sa, e alla fine si sa per sempre ciò che si è visto) e la montagna attraverso quello del padre – sguardo che mai ha smesso di riverberare nel suo – con “Billy il cane” (Ponte alle Grazie, 182 pp., 16,90 euro) racconta di sé in terza persona e del proprio cane in prima. Sì, è Billy che ci racconta il mondo, e l’intersezione con quello dei suoi tre tutori.


Ma chi è Billy? Perro internazionale e serial fucker, cane mandrillo e trivellatore infine smarrito perché ha voluto smarrirsi (“io vado, con il mio corpo, dentro un corpo più grande”, dice, ed è proprio da qui, durante quest’ultima notte da cui non tornerà, che la narrazione prende le mosse viaggiando a doppio senso di marcia, quello del ricordo e quello del presente, mentre i suoi tutori lo stanno cercando), Billy il cane è un cane particolare, ma è anche il cane universale di ogni tutore: il cane come vita a spasso, vita immaginata, dritto o rovescio di sé stessi, cioè di chi ci vive e ci divide la poltrona dello studio, i libri, il tepore domestico, la vita di chi lo osserva e lo studia alla perenne ricerca di un alfabeto che unisca ciò che la natura sembra aver voluto dividere.


Cane usmato e sniffato in famiglia, cane che scava e cerca sempre strade verso il centro della terra, cane a molla al risveglio dopo un’anestesia e cane inimmaginabile come compagno di questua perché – se la ride Rollo nell’immaginarlo – non avrebbe suscitato sentimenti di simpatia ma garantito vita grama al questuante, garantiti anche i salti mortali per risparmiare al passante il ringhio e il morso, Billy il cane vive ritto e vigile. E Rollo offre a chi legge questo suo ritratto in perenne movimento, presentissimo e tuttavia in absentia. E sa toccare una corda molto sensibile quando, a un certo punto – il punto in cui il libro smette di essere un’opera acuta e cordiale per diventare un’occhiata gettata intrepidamente nel cavedio di un’anima –, ci parla della rabbia. Sì, la rabbia: del cane e la propria. “Accanto alla sua rabbia ho saputo riconoscere la mia. Come Billy mi ritrovo ansante, senza argomenti, a provare un senso di inimicizia che sbatte come straccio al vento ma anche senza vento. Dove sono i nemici?”. Perché dentro di noi ci sono bestie alla catena e in ogni labirinto psichico, gira e rigira, trovi sempre un cane che latra. 


Ecco cosa fa, di un cane, un cane degno di essere raccontato: lo sguardo di chi ne scrive e sa ritrovarlo in sé, l’intesa silenziosa e senza alfabeto che germoglia lì, in quel punto preciso. E che nello spavento di stare al mondo, racconta la vera alleanza: un guinzaglio, ma che ognuno chiama a modo suo.