Una fogliata di libri

Il regista

Giancarlo Mancini

La recensione del libro di Daniel Kehlmann edito da Feltrinelli, 384 pp., 22 euro 

Spesso affascinato dal cinema come macchina affabulatoria, capace, al pari se non più della scrittura stessa, di irretire fino a ipnotizzare, Daniel Kehlmann ha deciso stavolta di utilizzarlo per addentrarsi nei recessi più oscuri e drammatici della storia del proprio paese, la Germania. Il protagonista del libro è infatti Georg Wilhelm Pabst, il regista de “La via senza gioia”, “Lulù-Il vaso di Pandora” e della prima riduzione cinematografica de “L’opera da tre soldi” di Brecht, uno dei pochi, fra i grandi che negli anni Venti hanno portato la cinematografia tedesca a essere la più innovativa del mondo, a decidere, dopo esserne andato via, di tornare e di vivere sotto il nazismo. Una scelta enigmatica perché non comporta alcuna adesione retroattiva, quindi ancora più spiazzante.

Kehlmann costruisce attorno alla figura di Pabst un affascinante puzzle narrativo incentrato sul rapporto fra l’ispirazione, il talento e il potere, sia esso quello del denaro che quello della violenza e della sopraffazione. Quando lo incontriamo, nella prima metà degli anni Trenta, Pabst è già emigrato negli Stati Uniti, come d’altra parte hanno fatto quasi tutti i migliori talenti del cinema della Repubblica di Weimar: Lang, Preminger, Zinnemann, Wilder e tanti altri ancora. A Hollywood però Pabst si adatta con fatica a girare film che disprezza, si sente inutile, d’altra parte, risponde agli amici che cercano di stimolarlo, “chi ha bisogno di una Sacher quando può mangiare il mango tutti i giorni?”. 

Scarta copioni su copioni fino a quando si lascia convincere da Jack Warner in persona a realizzare “Un eroe moderno” (1934), ma il film è un fiasco e Hollywood difficilmente concede seconde possibilità a chi fallisce in modo così fragoroso. Umiliato, Pabst si rivolge alle due attrici che ha fatto diventare icone immortali, Greta Garbo e Louise Brooks, la Lulù con i lucenti capelli a caschetto neri. Tutte e due però, per ragioni diverse, non sono disponibili a spendersi per lui che aveva spiegato alla Garbo il segreto per imprimersi una volta per tutte nella mente dello spettatore: “Niente gesti, muovi appena il viso, non recitare”.  Il destino sembra guidare Pabst verso un’unica strada, quella del ritorno in Germania. E’ il 1939, la guerra è sempre più imminente, quando varca la frontiera sente di aver compiuto un gesto non emendabile. Dovrà fare i conti con Goebbels, con le ferree leggi della censura preventiva, ma soprattutto con un regime che solo la cieca obbedienza. Sapendo che se anche riuscisse a cavarsela, pochi saranno disposti un domani a rendergliene merito. 

    

Daniel Kehlmann
Il regista
Feltrinelli, 384 pp., 22 euro 

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