Figlia del temporale
La recensione del libro di Valentina D’Urbano, Mondadori, 312 pp., 20 euro
“Non mi avrai Creonte, né domata, né persuasa”: è l’esergo scelto da Valentina D’Urbano nel suo nuovo romanzo Figlia del temporale. Una citazione che anticipa il cuore del libro, come una dichiarazione di intenti, per raccontare la storia di Hira, ragazza albanese che nasce donna e che viene sepolta con un nome da uomo, Mael. Nel 1974 Hira ha tredici anni, ha perso il padre da bambina e sua mamma muore nel crollo della loro casa a Tirana. Come le macerie, si infrangono anche tutte le coordinate del suo mondo: rimanendo orfana, viene accolta dalla famiglia dei suoi zii e deve trasferirsi a Sinjë, un villaggio sulla montagna di Maja i Narreth. La nuova vita impone anche nuove regole, diametralmente opposte a quella della città, e crescendo insieme ai cugini Danja, ligia alle usanze, e Astrit, selvaggio come un lupo, Hira impara a conoscere la montagna, la natura, sé stessa e le leggi che regolavano la cultura di quei villaggi, più antiche di quelle del regime comunista a cui era abituata. E’ il Kanun, il più importante codice di diritto consuetudinario albanese: “Sono tutte le regole che una volta comandavano queste montagne. Dentro c’è scritto come si deve comportare un uomo e una donna. Il governo dice che che va dimenticato, ma noi lo conosciamo anche senza leggerlo”, le raccontava Danja. Quando però ai suoi vent’anni, come d’usanza, suo zio sceglie per lei il futuro marito, Hira si oppone rivendicando il diritto – non concesso alle donne – di scegliere. C’è solo un’altra via, senza ritorno: rinunciare a sé stessa diventando “burrnesh”, una vergine giurata. Hira inizia a vivere come un uomo, vestire gli abiti di un uomo, portare un nome da uomo e vivere nella castità eliminando ogni traccia della sua femminilità: “Qualcosa si spaccava dentro di me giorno dopo giorno. Ma ero libero, avevo barattato il mio corpo, i miei capelli e i desideri in cambio della libertà”. Diventando Mael, nella metamorfosi trova lo spazio di una libertà condizionata: “Dobbiamo sempre rinunciare a qualcosa. Dobbiamo sempre spezzarci in qualche punto. Intere non andiamo bene, intere non ci possono sopportare”. Una linea sottile: spezzarsi per non piegarsi.
D’Urbano traccia una storia sofferta, audace e ferina sul corpo delle donne come perimetro allo stesso tempo di libertà e di prigione. Un inno prezioso all’amore e alla lotta che sottende una promessa, prima di tutto verso sé stesse, ad abitare le possibilità. Per essere terra di nessuno, come le montagne. (Federica Bassignana)
Figlia del temporale
Valentina D’Urbano
Mondadori, 312 pp., 20 euro
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