Macchina danneggiata da un attacco russo su Odessa, in Ucraina (foto LaPresse)

Una Fogliata di libri 

Vivere ogni giorno, come se fosse l'ultimo. Lettera da me e il mio cane

Marina Corradi

Una domenica al bar fra gli avventori alcolisti, ex baby boomer ludopatici e stranieri reduci dalla guerra. Ma se dal cielo piovono bombe, l'unico modo per andare avanti è avere fretta di abbracciare e perdonare chiunque

Domenica di cielo sporco. Al di là del corso i partecipanti alla Half Marathon corrono. Il mio cane li contempla con le orecchie diritte, inquieto. Per un vecchio bastardo come lui, si corre per scappare. Ora, perché questi corrono? Da che cosa scappano?


“Vieni, andiamo dal cinese”, gli dico materna. E’ in domeniche così, col cielo livido che picchia duro sullo skyline delle archistar, che il mio bar cinese dà il meglio di sé. Fuori, in due siedono davanti a un bicchiere di grappa. Non la prima direi, benché siano le nove. Tacciono, meditabondi. Gli altri avventori, all’interno, stanno sotto a una tv accesa. Ne viene una pubblicità di materassi. Alla cassa, allineati, tutti i Gratta e vinci in commercio, intatti (sotto un cielo così, cosa credi di poter vincere?).


I clienti sono di tre categorie. Gli alcol addict, grati del bar aperto anche a Natale. Poi, gli stranieri: badanti che nella giornata di festa telefonano a casa. Tra gli stranieri mi è caro quello taurino, taciturno, reduce dalla guerra in Bosnia. Quello che una volta mi ha detto, assorto: “In guerra gli uomini fanno cose che non crederebbero di potere fare mai”, e subito si è zittito – come già avendo parlato troppo. Infine ci sono degli ex baby boomer visibilmente tostati dalla vita. Alcuni ludopatici, in catene alle slot. Ma quando invece giocano a carte è bello, starli a guardare. Talvolta poi entra, solo, un vecchio distinto milanese in loden. Si guarda attorno, si siede. Questo posto gli deve sembrare un bar anni Settanta, non trendy, di quelli dei cari lontani giorni di sciopero a scuola.

Una bionda siede con un italiano. Viene da Odessa. “Ma come si fa – chiede l’amico – a vivere sotto le bombe?”. “Si vive ogni giorno, come se fosse l’ultimo”, fa lei, semplicemente. Come dicesse una cosa da niente. Io sussulto: nell’ultimo giorno, che fretta di abbracciare, di perdonare, avrei. E se, per caso, avessi colto una formula aurea? Vado, col cane: la lama del freddo taglia l’aroma caldo di caffè, alle mie spalle.
 

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