Tra le bestie la più feroce è l'uomo

Micol Flammini

La recensione del libro di Varlam Salamov, Adelphi, 468 pp., 24 euro

Cosa rimane dell’uomo in un posto progettato per distruggere l’umano? L’uomo si lascia sulla soglia del gulag e Varlam Salamov forse è sopravvissuto al gelo, alle botte, alla fame della Kolyma proprio perché aveva capito che non avrebbe avuto senso cercare i suoi simili tra la violenza che conduce alla miseria. Ne I racconti della Kolyma, Salamov aveva raccontato l’abbrutimento della discesa agli inferi del sistema dei gulag, lo aveva fatto come una guida, come se il suo dolore, la sua paura non fossero parte della prosa, si era offerto mostrando una quotidianità che non aveva bisogno di troppa enfasi narrativa per essere mostrata. Gridava da sola e a quel grido Salamov ha prestato la penna senza mettere in primo piano la sua sofferenza. Tra tutte le bestie la più feroce è l’uomo, edito da Adelphi, è invece una raccolta di ricordi dedicati alla letteratura, alla sopravvivenza degli scrittori russi nell’Unione sovietica in cui la parola poteva costituire il primo dei reati. Salamov racconta la sua infanzia prima della Rivoluzione, racconta la scoperta della scrittura in un contesto famigliare in cui sarebbe stata più apprezzata la sua dote per la caccia che quella per la penna. Poi i racconti portano negli anni Trenta, in una Russia vibrante di letture, con Majakovskij amato, incompreso, strattonato, dimenticato pronto a litigare da ogni palco negli agoni letterari. Il panorama di Salamov è vivo, lui prova a pubblicare i suoi primi racconti, le riviste fioriscono, sfioriscono, si fanno sempre più guardinghe con l’aumento della censura, ma rimane un anelito culturale prepotente che sembra neppure la repressione di Stalin possa soffocare.  Invece soffoca e snatura, ma il sottobosco russo cerca di sopravvivere. Nel volume di Adelphi si tratteggiano anche i rapporti letterari tra Salamov e figure imprescindibili della letteratura russa, in una serie di relazioni personali, immaginarie, desiderate. Pasternak è il maestro di tutto, con lui lo scrittore sopravvissuto a vent’anni di gulag mantiene un rapporto costante e clandestino, per lui si reca di nascosto a Mosca dopo gli anni di confino, entra nella sua casa, ascolta le sue parole, raccoglie le sue confessioni. Pasternak incontra Salamov, un sopravvissuto, e nelle sue parole si nascondono i sensi di colpa di chi sa di essere andato avanti nonostante il regime, di chi ha trovato il compromesso che a Salamov non è stato concesso. Tra tutte le bestie la più feroce è l’uomo è una raccolta di momenti, una galleria di dubbi, una peregrinazione dentro una Russia che si affloscia su se stessa. Ogni ricordo di Salamov si chiude con la sensazione che non c’è spazio della cultura più umile della letteratura: può raccontare tutto, tranne la più deturpante delle condizioni umane, il dolore. 

   

Tra le bestie la più feroce è l’uomo
Varlam Salamov
Adelphi, 468 pp., 24 euro

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)