Una fogliata di libri
Ieri e oggi allineati, alla stessa distanza. Lettera da un déjà-vu
Passato e presente si allineano, alla medesima distanza, mentre un neonato sprigiona la stessa forza di cent'anni fa. La madre stremata, lui con gli occhi chiusi, con lo stesso imperativo irragionevole e profondo di continuare a sperare
E’ nato, finalmente. La foto in braccio alla madre sembra una maternità di tempi antichi: lei stremata, lui, gli occhi chiusi, le si appoggia al seno e con la piccola mano le stringe forte un dito.
Dicembre 2024, accade di nuovo. Ma la madre è mia figlia, e appena ieri, ne sono certa, l’ho abbracciata io a quel modo, in un’alba di giugno. E’ stato proprio ieri, ricordo ogni istante: e fisso frastornata, nel cielo bianco di Milano, i rami nudi dei noci davanti a casa.
Per tutta la notte il cuore in gola, anche io sono stanca. Questo cielo cieco mi ipnotizza. Passato e presente si allineano, alla medesima distanza. Quel parto di ventisei anni fa e questo, notte di Santa Lucia, contemporanei.
Assurdo. Ma volentieri mi lascio andare all’hypnos che mi prende. Come l’ebbrezza di un bicchiere di rosso denso: quel bambino grosso, forte, quanto somiglia a mio padre.
Davvero sono passati oltre cent’anni da quel maggio 1914, a Parma?
C’era profumo di tigli nell’aria, ne sono certa, attorno alla casa dell’Oltretorrente. Vedo l’affaccendarsi di donne attorno alla mia nonna fanciulla, e le parole concitate in dialetto, e le grida, e infine il primo vagito taglia l’aria.
Francesco Ferdinando, quel 22 di maggio era ancora imperatore: un mese e sei giorni a Sarajevo. Eppure quanto, quanto vi somigliate voi due, nel collo grosso, nel naso ingombrante, e credo, nel vigore del pianto. E nell’avvinghiarvi tenace al dito della mamma, con la mano.
Bambino, mi sembra di averti già visto. E d’essere caduta un tempo altro dal nostro kronos: come il girare invece, incessante, di una macina di mulino, poderosa, sul medesimo fulcro.
Lui, nato stanotte, vuole il seno ora, e rosso di rabbia corruga la fronte. Il suo pianto mi attraversa. La Terza guerra mondiale? Forse. Ma come succhi e poi ti addormenti sul seno, piccolo, in un’assoluta fiducia. Come il bambino del 1914.
Quale forza sprigiona da un neonato. E’ un Sollen che viene dal profondo: sorgivo, irragionevole forse, l’imperativo di sperare.