Una fogliata di libri - overbooking
Siamo diventati come l'homo fictus
Dormiamo meno, mangiamo come capita, diamo un enorme peso ai sentimenti. Sono passati cento anni dall'essere umano ritratto da Edward Morgan Forster, eppure gli assomigliamo sempre di più
Sono passati cent’anni da quando Edward Morgan Forster ritrasse l’homo fictus. Nel 1927, invitato a tenere un ciclo di sei conferenze al Trinity College di Cambridge, Forster ne dedicò una alle “persone” che appaiono nei romanzi, e che appartengono a una specie differente rispetto a chi incontriamo nella vita concreta. L’homo fictus differisce dall’homo sapiens per tre aspetti fondamentali. Innanzitutto, non dorme quasi mai. Quando viene raffigurato a letto, anzi, è quasi sempre sveglio; molto di rado i “gruppi di parole”, a cui secondo Forster si riducono i personaggi, fanno riferimento al sonno prolungato, la cui descrizione – gente sdraiata immobile per un terzo della giornata – risulterebbe in effetti noiosetta. Inoltre, mangia poco; per lo più si nutre in occasioni mondane, in genere non cucina e, degli innumerevoli suoi giorni descritti nei romanzi, sono pochissimi quelli in cui si concede un pasto completo. In compenso, notava Forster, l’homo fictus dedica all’amore una spropositata porzione del proprio tempo, a differenza dell’homo sapiens che deve badare soprattutto a riposarsi, nutrirsi e mantenersi lavorando.
Le lezioni di Forster fecero storia grazie all’immediata pubblicazione in volume (Aspetti del romanzo, Garzanti, 192 pp., 13 euro) e ispirarono, fra l’altro, pagine memorabili di Giacomo Debenedetti: ne Il romanzo del Novecento (La nave di Teseo, 658 pp., 25 euro), il miglior critico letterario italiano prendeva spunto da Foster per capire in che modo, proprio un secolo fa, il mutamento di paradigma dell’homo sapiens avesse influito sul pur dissimile homo fictus. Oggi siamo di fronte, con ogni evidenza, a un’ulteriore evoluzione della nostra specie, sul piano sociale, tecnologico e identitario. Per certi versi, un homo fictus che volesse assomigliarci dovrebbe passare centinaia di pagine immobile davanti a un monitor, chiuso in una bolla virtuale, e nessuno finirebbe mai più di leggere un romanzo. Curiosamente, tuttavia, siamo noi che ci siamo avvicinati a lui: rispetto a cent’anni fa dormiamo meno, mangiamo come capita, diamo un peso esorbitante ai nostri sentimenti. Stiamo cercando di assomigliare il più possibile a come immaginavamo di essere.
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