Il regno doloroso

Massimo Morasso

La recensione del libro di Paolo Valesio, dia.foria/dreamBOOK edizioni, 268 pp., 19 euro

C’è un autore che s’aggira come un maestro (piuttosto) segreto nel sottosuolo delle nostre Patrie Lettere. Quel maestro (piuttosto) in ombra si chiama Paolo Valesio, ha ottantacinque anni, è nato e vive a Bologna ed è stato per vari decenni fra i protagonisti e mediatori della letteratura italiana negli States, dove ha insegnato sia a Harvard sia, per un quarto di secolo, alla Yale University. Sul versante creativo della sua produzione, a romanzi, romanzi-saggio, racconti e raccolte di poesia (una ventina a tutt’oggi), da oltre trentacinque anni va affiancando un progetto mastodontico e ambizioso: un complesso di quattro diversi “romanzi quotidiani”, come li chiama lui, che consta, per ora, di oltre ventimila fogli manoscritti, per la maggior parte inediti.


Fuor di tetralogia, negli scorsi mesi Valesio ha ripubblicato il romanzo Il regno doloroso con un piccolo marchio editoriale, che dà voce alla poesia e alla letteratura cosiddetta sperimentale – circostanza che è utile per evidenziare la duttilità pre ideologica del prolifico autore. Il quale non è uno sperimentatore per partito preso, uno scrittore cosiddetto “di ricerca”, se non nel senso sui generis che, tramite i propri testi, qualunque ne fosse o sia la natura, ha sempre voluto mettere alla prova stilistica sé stesso. S’è appena detto che Valesio ha “ripubblicato” Il regno doloroso. La cosa va chiarita. Vuol dire che ha riproposto fedelmente e integralmente, con una minima eccezione, la prima edizione a stampa di un singolare esperimento romanzesco che uscì nel lontano 1983. 


La trama del libro ci apre a una delle evidenze che ne fanno la suggestione. La trama, infatti, quasi non c’è. C’è, invece, un narratore onnisciente che segue i fatti e i misfatti quotidiani dei tre protagonisti Leo, Aurelio e Doriana, secondo un pathos lirico-descrittivo che si può forse dire “stocastico”, e forse anche “fenomenologico”, poiché tutto, qui, è osservato come un fenomeno naturale – ma dal punto di vista di un occhio acutissimo, che guardando alla realtà, ne fissa i dettagli minimi e minori.


La forma corrisponde all’andatura felicemente rapsodica del plot. E’ fatta di tessere che s’intrecciano in modo obliquo, a comporre una singolare struttura a mosaico, atta a meditare, più che a raccontare, ciò che accade ai personaggi; che il lettore finisce col conoscere per via di sensazioni, piccole vicende, forse irrelate e forse no, tramite minuzie di un vissuto a tre esistenze che si dà nella retina mentale e nella lingua iper-percettive dell’autore. L’importanza della riproposta sta nel molteplice azzardo e nella sua inattualità: vuol essere una risposta critica alle scritture d’avanguardia; vuol flettere la prosa di romanzo verso la poesia; vuol descrivere la nobiltà disperata della manifestazione del sacro nel mondo d’oggi.

  
Il regno doloroso
Paolo Valesio
dia.foria/dreamBOOK edizioni, 268 pp., 19 euro

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