una fogliata di libri
Le età del bosco
La recensione del libro di Vincenzo Corraro, Internolibri, 108 pp., 14 euro
Nelle note finali della prima silloge poetica di Vincenzo Corraro (che ha già dato in precedenza ottime prove narrative) c’è forse tutto il senso del suo dire e una sottesa dichiarazione di poetica (e di vita): “Ci sono parole solcate da crepe un po’ più intime. Schivano e intimoriscono la nostra anima, perché sono legate ai profondi significati che la vita di ognuno porta in sé. Riscoprirle, dare loro una forma crea l’illusione che il tempo sia fermo da qualche parte, e con esso anche noi”. Divisi in due sezioni, “Quel che resta” e “Mattinale”, i versi qui raccolti hanno la postura di una sedimentazione profondissima covata negli anni, la parola è soppesata, spesso ricercata, circolare quando ritorna su tracce ricorrenti come un venato naturalismo primigenio con echi pascoliani e pavesiani, l’infanzia perduta e la sua memoria conservata come un talismano, la dimensione umile e marginale del paese, l’amore celebrato nella sua accezione materica, carnale. Costruita con un ritmo fondamentalmente narrativo e con un periodare a volte complesso e slegato da schemi formali prefissati, la raccolta sembra come avvolgere il lettore in una spirale ritmica in cui i luoghi indagati attraversano più soglie temporali, si confondono tra visibile e invisibile, tra umano e inumano: “C’è nel bosco una ruga profonda / che si allarga segreta nell’ombra / nella giustapposizione dei solchi / scava appena, invisibile, spersa: / regge acque, alberi e foglie / dai suoi pori sfiata la notte. C’è nel bosco una strada che sfianca / una curva che non ha mai fine / il disegno impreciso dell’uomo / lo scompiglio di essere solo. / La paura di doversi ascoltare / quando cessa ogni frastuono / e avvertire in ogni fessura / il respiro trattenuto del mondo”. L’intento nemmeno troppo inconsapevole dell’autore è di provare a realizzare una ricomposizione di ciò che nel tempo è stato riposto per frammenti nei solchi dell’anima, quel paesaggio interiore che solo alla giusta distanza è possibile guardare come un fuoco antico, sempre acceso anche quando non si vede, ma che resta lì, in attesa di riscaldare una mano. Sembra di assistere a uno slancio che chiama fuori dal tempo e dalle ère, verso l’esterno, in perenne ascolto di una bellezza silenziosa, che non fa più tendenza, una bellezza ancestrale e che la società moderna sembra avere dimenticato. L’io protagonista dialoga con un tu panico e quasi divino, teso a ricongiungersi il passato e a mettere in connessione magnificamente tra di loro, uniti come da un unico fil rouge, folaghe, licheni, pappataci, pettirossi, corvi, rovi, occhi di durlindana, lanari, narcisi, biancospini, parte di un immenso grande fluire, che solo la voce antica e sempre nuova della poesia riesce a far suonare (e cantare) insieme.
Le età del bosco
Vincenzo Corraro
Internolibri, 108 pp., 14 euro
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Ma io quasi quasi
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