Una Fogliata di libri

Convito delle stagioni

Riccardo Bravi

La recensione al libro di Antonio Prete edito da Einaudi, 144 pp., 12 euro

La poesia di Antonio Prete non presenta picchi intellettualistici né tantomeno alcuna venatura ideologica, ma è marcata da una profonda e compassionevole osservazione della natura e del mondo animale che la popola. Con una vena lirica garbata e quasi dimessa, il poeta di Copertino riflette leopardianamente sul senso della vita e del tempo che passa, appoggiandosi sugli autori da sempre amati e tradotti, ai quali alcune prose e componimenti all’interno di questo "Convito delle stagioni" sono dedicati. Bonnefoy, Jabès, Mario Luzi e il poeta spagnolo Valente entrano allora a far parte di questa costellazione e influiscono di conseguenza sul poetare di Prete, il quale assomiglia a un cammino erratico alla scoperta di quelle presenze spesso non intelligibili che popolano il mondo. Le parole infatti non sono mai ferme, ma alla ricerca di corrispondenze complesse, e ci mettono in relazione con il nostro “io” più profondo fino a provocare un sentimento di nostalgia, di spaesamento di fronte all’esistenza stessa. Esse spesso colmano una vuota assenza e portano il peso dell’esilio, di un nomadismo che trova dimora nella lingua, e non potrebbe essere altrimenti. Allora, per il poeta salentino, esse “camminano con noi. / Hanno nel suono il segno degli inverni”. C’è una ricerca dell’infinito in Prete che passa attraverso le cose umili, quelle che spesso vengono dimenticate e messe da parte da tanta poesia odierna: “il canto delle foglie nel vento”, “il sibilo dell’ape sull’anemone”, “il grido della gazza che volava verso l’ulivo”, le bestie che compongono la sezione denominata “Per un bestiario”, all’interno della quale sogni e luoghi nostalgici dell’infanzia vengono evocati. Non sembra esserci la celebrazione di un “altrove” in questa poesia, un mondo in cui fuggire alla maniera baudelairiana, ma tutto è commisurato al “qui” e “ora”, al tempo che percepiamo sulla pelle attraverso i cambiamenti di stagione e al dolore dell’essere vivi, malgrado tutto, su questa terra. E’ in “Lezioni di tenebre” che il sentimento di malinconia si dipana nella forma più consolidata, per mezzo di immagini molto più cupe di quelle utilizzate nelle altre parti della silloge: “guerra”, “morte”, “afflizione” sono quelle che allora prevalgono, facendo eco a vicende umane strazianti che partono da un vissuto personale ma che si spostano rapidamente verso un destino collettivo, lì dove è l’intera umanità a sentirne l’oscuro presagio. Appoggiandosi sull’immaginario ebraico delle lettere, Prete riesce a dare al dolore una svolta, a farlo percepire come un processo di iniziazione alla gioia (il piacere dell’essere-al-mondo), facendoci poi entrare nel suo mondo meridiano, fatto di vento e di mare, di ientu e di mmare, come riporta il dialetto salentino con cui compone l’ultima sezione di questo splendido libro.

   

Antonio Prete
Convito delle stagioni
Einaudi, 144 pp., 12 euro

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