
una fogliata di libri
Gli ultimi giorni di Shelley e Byron
La recensione del libro di Edward John Trelawny edito da Quodlibet, 229 pp., 16 euro
Mancato nel 1822, a 29 anni e undici mesi, inabissatosi durante una tempesta nel golfo di La Spezia, Percy Bysshe Shelley rientra ancora, per il rotto della cuffia, nella lista delle morti romantiche. Trent’anni il limite invalicabile. Palmares che sfugge a Lord Byron, ma solo per motivi anagrafici. Perì poco più che trentaseienne a Missolungi. Di questi due poeti romantici, Edward John Trelawny racconta gli ultimi giorni di vita. Vite brevi di uomini illustri, potremmo dire. Di entrambi, egli è l’amico, il compagno di avventure, capace di trarre dal tempo passato insieme a loro un toccante ritratto. Puro, impulsivo, ingenuo, ribelle, generoso e solitario il primo; spaccone, viziato, cinico, sospettoso, il secondo. Ma grande nuotatore. Trewlany si trova a Losanna la prima volta che un libraio gli parla di Shelley. Quella vacanza viene allietata da un curioso siparietto. Un gentiluomo dai modi decisi, accompagnato da due signore, tutti segnati e screpolati in volto dai raggi del sole accumulati nelle escursioni montane, attira la sua attenzione. Il gentiluomo è Wordsworth, il sommo poeta. Riguardo a Shelley, non dice nulla. Se la cava con un “Non ce la farà”. Classica reazione invidiosa del venerato maestro. Si rimangerà le parole.
Le pagine di Trewlany spesso ci restituiscono, nei dettagli isolati di una giornata qualunque, piccole verità: l’ossessione di Byron per la forma fisica. La sua preoccupazione per il piede destro quasi deforme, che nessuna protesi di acciaio riuscirà a ristabilire. E poi il terrore di ingrassare, a tal punto da consacrarsi al completo digiuno. Dopotutto, non ha palato. Di Shelley, Trewlany ricorda la sete di conoscenza inestinguibile. “Si metteva a lavorare su un libro, o su una piramide di libri; gli occhi scintillavano della stessa frenesia che anima il più sordido cercatore d’oro quando lavora a un blocco di quarzo”. Leggeva sempre in piedi.
Il libro testimonia dei loro viaggi. Segno di una solida forma di amicizia. Sono spesso in Italia: Firenze, Livorno, Pisa. Ovviamente, in Grecia. Si parla di letteratura, di fondare riviste. A volte le situazioni si fanno rocambolesche. Con Byron non mancano le risse, gli alterchi. Shelley ama il mare. Anche in barca, con una mano legge mentre con l’altra manovra il timone. Quando Trelawny scorge il suo cadavere sulla spiaggia di Viareggio, noterà nelle tasche libri di Sofocle e Keats. Quanto a Byron, L’amico giungerà a Missolungi tre giorni dopo che il poeta era spirato. Nota nel feretro un corpo “più bello in morte che in vita”. Affetto da febbri reumatiche, medici maldestri l’avevano talmente debilitato, salassandolo e purgandolo a morte. (Rinaldo Censi)
Edward John Trelawny
Gli ultimi giorni di Shelley e Byron
Quodlibet, 229 pp., 16 euro