una fogliata di libri

Il mito della prima Italia

Enrico Paventi

La recensione del libro di Andrea Avalli edito da Viella, 336 pp., 29 euro

Nell’ambito dell’immaginario storico elaborato dal fascismo, ha certamente svolto un ruolo fondamentale il culto della romanità: sono numerose le discipline che, durante il Ventennio, hanno subìto la profonda influenza della civiltà dell’Urbe. Va però osservato come, in quell’immaginario, uno spazio rilevante sia stato occupato dagli Etruschi. Malgrado le incertezze relative all’interpretazione della loro lingua e delle loro origini,  nell’Italia fascista è venuto ad affermarsi un ragguardevole consenso riguardo all’avvenuta assimilazione degli Etruschi nel contesto dell’identità italica: integrati prima nel mito unitario della romanità, poi nella narrazione “nazional-razzista”, essi hanno costituito la “prima civiltà d’Italia”.

 

In seguito però, una volta approvate le leggi razziste e dato inizio alla persecuzione antiebraica, a essere avversata è stata in particolare l’ipotesi dell’origine orientale, dal momento che si avvertiva la necessità di escludere dalla composizione etnica italiana la presenza di corpi estranei. Il giovane storico Andrea Avalli ha ricostruito compiutamente questa vicenda, che non si è affatto conclusa con la caduta del regime fascista poiché nel Dopoguerra – all’insegna della memoria autoassolutoria – dell’identità etrusca è stato fatto un discorso identitario atlantista ed europeista.

 

Lo studioso mette in rilievo la lunga durata del razzismo scientifico italiano nell’ambito antichistico. Egli rinuncia a utilizzare la rassicurante ma spesso irrealistica contrapposizione tra una “buona scienza” metodologicamente valida, apolitica ed eticamente corretta e una “pseudo scienza” permeata di ideologia, priva di senso morale e al servizio dei totalitarismi. Neanche le scienze più tecnicamente avanzate si rivelano dunque neutre o avulse dalla storia culturale, politica, economica. Tanto meno lo sono quelle sociali e le discipline umanistiche, soprattutto nei contesti storici caratterizzati dall’esistenza di un’accentuata simbiosi tra scienza e potere statale.

 

Sulla base di queste premesse, Avalli sottolinea come non solo sotto il fascismo, ma anche successivamente, “l’immaginario etrusco sia stato mobilitato su vari livelli per teorizzare una continuità culturale e razziale italiana dall’antichità al XX secolo, con il fine politico di legittimare l’ordine sociale mantenuto dalla dittatura”.

 

Certo, sostiene lo storico, la sua ricerca è stata agevolata dai mutamenti subiti dal comune sentire nel corso del tempo. Grazie infatti al turismo di massa, all’integrazione europea e alla memoria della Shoah è stato messo in discussione il modello di identità nazionale basato sulla discendenza etnica.

   

Andrea Avalli
Il mito della prima Italia
Viella, 336 pp., 29 euro

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