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Una fogliata di libri

"L'ultimo messia" e l'unica cura per l'invincibile angoscia

Michele Silenzi

La soluzione di Peter Zapffe: l'unico rimedio per l'uomo è la scomparsa, ovvero smettere di riprodursi e lasciare la coscienza umana svanire nella gelida silenziosa infinità cosmica

Vi è una soluzione per l’angoscia e per il dolore? Vi è una possibilità di uscita dal pensiero che la nostra esistenza è una parentesi lacrimosa che inizia con il pianto della nascita e termina con la disperazione della morte? A tali quesiti che abitano (prima o poi, in maniera più o meno cosciente) il cuore degli uomini, e fanno pensare al cavaliere di Bergman che gioca a scacchi con la morte su un’algida spiaggia svedese, nel 1933 rispose uno stravagante pensatore scandinavo, norvegese per la precisione, Peter Zapffe, con un pamphlet filosofico intitolato “L’ultimo messia”. La soluzione di Zapffe è così riassumibile: l’unica cura per l’uomo, per la sua invincibile angoscia è la scomparsa, smettere di riprodursi e lasciare la coscienza umana svanire nella gelida silenziosa infinità cosmica. Se, convenzionalmente, si fa iniziare la civiltà della ragione occidentale dal “conosci te stesso” di socratica memoria, l’ultimo messia riprende proprio quelle parole per evocarne la placida scomparsa: “Conosciate voi stessi: siate sterili e che ci sia pace sulla Terra dopo il vostro passaggio”. Zapffe non vede la realizzazione di questo destino di annichilimento attraverso una qualche catastrofe planetaria, attraverso una guerra totale che debba ridurre in cenere cosmica tutto il genere umano. Molto più dolcemente ne evoca la progressiva scomparsa smettendo di riprodursi. Il più grande dei tragici, Sofocle, metteva in bocca al più tragico dei personaggi, Edipo, che la cosa migliore sarebbe stata non essere mai nati, e in alternativa tornare presto donde si era venuti. 

  
L’ultimo messia sarebbe colui che ha colto il nulla della vita umana nel contesto cosmico, che comprende come l’autocoscienza, questo nulla inafferrabile che parla nelle nostre teste e che ci sembra il tutto, sia la fonte dei nostri mali, cancellabile solamente nell’estinzione. E’ questo fantasma che ci perseguita, che ci segue ovunque, da cui non c’è nascondiglio, la fonte dell’angoscia e dell’infelicità. L’uomo si è creato meccanismi di difesa i più svariati per proteggersi dall’assillo della coscienza, infinite forme di distrazione e intrattenimento, le più alte e le più basse, le più raffinate e le più brutali che lo difendano dalla disperazione assoluta, dal “panico della vita” che sa di essere nulla. Ed è questa stessa autocoscienza che ha fatto credere all’uomo di potere addirittura, illusione delle illusioni, conquistare la Terra e poi, perché no, il cosmo stesso. Solo in momenti di precaria lucidità, tra una distrazione e l’altra, la coscienza dell’uomo comprende il proprio esser niente.

  
L’ultimo messia, con la sua ricetta per l’estinzione, è il soggetto massimamente empatico, colui che non riesce a tollerare la sofferenza degli altri esseri viventi causata dall’uomo, che sente “un cantico di fratellanza per tutto ciò che vive” e che pertanto comprende che l’uomo deve scomparire per far cessare le sofferenze sue e di tutti quegli esseri che vuole dominare. Ma questo dominio non è soltanto “male” è anche inutile. Infatti, non vi è neppure alcun progresso possibile, in quanto più avanziamo, più otteniamo, e maggiore è l’insoddisfazione nei confronti della meta raggiunta. Utilità decrescente della felicità raggiunta: il desiderio è fatto per autodistruggersi nel suo stesso soddisfacimento! “Il velo del futuro è stato scostato e gli rivela un incubo di ripetizione senza fine, uno spreco insensato di materiale organico. La sofferenza di miliardi di esseri come lui attraversa la porta della sua empatia”. 

  
Il testo di Zapffe è adamantino nella sua chiarezza e, date le sue premesse, le conclusioni che ne trae sono paradossalmente ragionevoli e accettabili. E’ importante pensare logicamente, perché permette di seguire i discorsi fino alle loro estreme conseguenze. Solo però quando si giunge al termine di quei discorsi, se lo si fa onestamente, si può comprendere con chiarezza quale sia l’eventuale bontà, o miseria, delle premesse poste. E le premesse di Zapffe, pur senza la sua potenza espressiva e la sua ferrea logica, è ovvio, hanno moltissimo in comune con buona parte del progressismo empatico-ecologista-dirittista contemporaneo.

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