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Una fogliata di libri

Laggiù, l'arco dell'altrove che si spalanca. Lettera dalla Centrale

Marina Corradi

Fine giugno, il primo caldo, il treno da milano partiva a mezzanotte. Dalla centrale, in una notte si approdava in un altro mondo, Un mondo illuminato dalla luce blu delle lampade notturne che riporta direttamente all'infanzia

Venti minuti alla partenza del mio treno. I Frecciarossa appena arrivati riprendono fiato, dopo la grande corsa. Hanno musi appuntiti di serpenti, e come serpenti dinoccolati, appena fuori dalla stazione, si districano con eleganza fra gli scambi. 

Stazione Centrale. Pericolosa, dicono.  Probabilmente vero. Ma è uno dei posti più affascinanti di questa città oggi gentrizzata, trendy, irriconoscibile: qui Milano è, quasi, com’era. Sotto alle arcate Liberty di ferro e di vetro, sui marmi chiari della Galleria delle partenze, o nello scintillio dei binari lucenti ritrovo, quasi uguali, notti remote. Fine di giugno, primo caldo, il treno per Calalzo partiva a mezzanotte. Scoprivo con stupore, io bambina, la città della notte: la sua ombra livida, le sue facce stanche o ambigue. Come avesse, la Milano chiara delle mie mattine, una doppia vita. Mio padre ci lasciava in uno scompartimento di velluti bordeaux che sapevano di fumo. Ci salutava, noi al finestrino, dal marciapiede – sembrava già lontano. La luce blu dei treni della notte, lo sciabordio delle ruote, lo scatto  degli scambi. Incredibile, come in quel labirinto il treno  sapesse la sua strada. Poi mi addormentavo, accanto a mia madre e ai miei fratelli. Al mattino un’estate fresca, acerba, mi aspettava alla soglia delle Dolomiti. E ogni volta quel profumo dolce di resina, dai vagoni carichi di tronchi. Dalla Centrale, incredibile, in una notte si approdava in un altro mondo. 

Ed è per questo che anche oggi, mentre tra la folla ansiata del venerdì aspetto, sono arrivata in anticipo: per respirare la Centrale. I suoi venti binari allineati, ovunque tu voglia andare; le banchine di pietra liscia, uguali a una volta. E là in fondo, dove finisce la tettoia, l’arco dell’altrove che si spalanca. Se potessi vorrei, l’ultima volta, andarmene di notte, su quel treno per Calalzo, nella luce blu delle lampade notturne. Addormentarmi come allora accanto a mia madre, cullata dal sapiente procedere del treno verso il suo destino.

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