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Una fogliata di libri

Un Thomas Merton che guarda a oriente

Massimo Morello

Pico Iyer, nel suo libro "Aflame", esplora la ricerca della pace interiore attraverso la sottrazione, ispirato dalla perdita della sua casa e dai suoi soggiorni in un monastero camaldolese. Le riflessioni sul viaggio interiore e sulla tensione tra stabilità e vagabondaggio spirituale

"Le anime evolvono non per addizione ma per sottrazione” è la regola dettata dal mistico tedesco Meister Eckhart circa 700 anni fa. Secondo Siddhartha Pico Raghavan Iyer, noto come Pico Iyer, cosmopolita scrittore di viaggi, culture e religioni (cui sembra predestinato dai suoi nomi, combinazione del nome del Buddha e di Pico della Mirandola), “ogni libro degno di essere letto” dovrebbe seguire la regola della sottrazione. E’ ciò che ha fatto con il suo ultimo, “Aflame” (“In fiamme”). Ha ridotto migliaia di pagine di note scritte in una vita di vagabondaggi tra spazi esterni e paesaggi interiori. Il libro prende spunto dall’incendio in cui perse la casa, ogni bene, gli appunti per i suoi libri. Fu allora che iniziò a interrogarsi su come trovar pace in un mondo dominato dal caos. La ricerca lo condusse in un monastero camaldolese nei boschi delle montagne di Big Sur, sulla costa centrale della California. Dove sarebbe tornato un centinaio di volte nel corso di 32 anni, scanditi da viaggi e tragedie personali. “Il ritiro, ho scoperto, non riguarda tanto la fuga quanto il riorientamento e il ricordo”, scrive. 


“Un Thomas Merton con una tessera da frequent flyer” lo ha definito lo scrittore indiano Pradeep Sebastian. Il paragone con il monaco trappista americano non è casuale. L’autore de “La montagna dalle sette balze” ricorre spesso nelle pagine di “Aflame” quale modello di una mistica occidentale che cerca ispirazione a oriente (attenzione a non definirla “inclusiva”). “Se vuoi sapere chi sei, allora il buddhismo ti può aiutare. Ma non accade se sei in cerca di un’identità culturale. Se passi la vita cercando di essere un altro diventerai sempre meno felice”, mi disse un ex professore di Fisica all’università di Princeton divenuto abate di un monastero coreano. Questo ricordo, emerso dal teatro della memoria con la lettura del libro di Pico, dimostra come “ogni libro degno di essere letto” non solo sia frutto di sottrazione per lo scrittore, ma induca il lettore a una somma di riflessioni, connessioni. In “Aflame” è pressoché inevitabile, considerando quanti personaggi vi appaiano: dal Dalai Lama a Leonard Coen, dai saggi taoisti a Camus, da Thoreau a un inaspettato Wittgenstein (“Non sono religioso ma non posso fare a meno di vedere ogni problema da un punto di vista religioso”, cita Iyer). Ma colui che rappresenta il vero protagonista di “Aflame” gli siede accanto alla mensa del convento.

“Padre Joseph, il primo fratello cinese nei 980 anni della congregazione camaldolese; era un salesiano in Italia, ha scritto una tesi su un teologo tedesco, presto partirà per tenere una lezione all’Università di Pechino mentre completa un libro sul misticismo taoista-cristiano. Il numero di lingue che parla supera il numero di persone a tavola”. Di pagina in pagina, mentre Iyer sottrae, io accumulo note. Alla fine mi resta un dubbio che già mi si era presentato durante un soggiorno presso un piccolissimo convento di monaci benedettini vietnamiti in Thailandia. Mi chiedevo perché, secondo la Regola di san Benedetto, i monaci peggiori siano quelli “detti girovaghi, perché per tutta la vita passano da un paese all’altro… Sempre vagabondi e instabili”. Personalmente sono affascinato dai monaci erranti. Come Thomas Merton.

Scrive in una delle Preghiere che recito spesso:  

“Io, Signore Iddio, non ho nessuna idea di dove sto andando.
Non vedo la strada che mi sta davanti.
Non posso sapere con certezza dove andrò a finire.
Secondo verità, non conosco neppure me stesso
e il fatto che penso di seguire la tua volontà non significa che lo stia davvero facendo…”.

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