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Una fogliata di libri

Quanto durano i romanzi? Dipende

Marco Archetti

Il tempo dei testi narrativi è molto varibile. A volte si consuma nella quarta di copertina, a volte nella completa lettura del testo. A volte dura qualche ora o qualche giorno. Ma i grandi romanzi, parlando dell'impulso dell'artista, durano e sopravvivono anche a se stessi

Quanto durano i romanzi? Alcuni, il tempo di leggerli. Altri, il tempo di leggere la quarta di copertina. Tra quelli che arrivano a tenerci compagnia per qualche ora o qualche giorno, molti finiscono sotterrati dalla carriolata di endorfine che ti scaricano addosso Ig, Whatsapp, Tiktok. Altri ancora lottano con le serie tv, la stanchezza a fine sera e altre lusinghe – e perdono. Certi, invece, pareggiano, e lo vedi in treno: i passeggeri leggono, per carità, leggono, non si può dire che non leggano, ma si tengono vicino il telefono e, al minimo bagliore, si avventano sullo schermo piantando una frase a metà – il sogno sarebbe, prima o poi, di vedere il signor Nikolaj Gogol sostanziarsi all’istante in un Frecciarossa e sganciare un ceffone epico al lettore di smartphone. Poi ci sono i felici pochi, cioè i romanzi che vincono su tutto ciò che accade intorno. Sono quelli che ti lasciano affatturato, ma per nulla inebetito, anzi, risvegliato. Dopo aver letto un grande romanzo, succede proprio questo: che ritorni alla tua vita con un senso di incremento interiore senza uguali, ed ecco che ti sembra di vedere con più limpidezza, di sentire i sapori più forte di prima, di assistere alla realtà mentre scolpisce ai tuoi occhi la nettezza di una forma di cui tu vedi il disegno. E poi vedi anche te stesso, in questo disegno, che hai un posto, o anche solo una posizione. Un grande romanzo, insomma, ti regala una storia e una geografia, un punto e una mappa. E ti rivela la realtà, la fa esistere ai tuoi occhi. La mette al mondo. Ti mette al mondo.

I grandi romanzi durano e sopravvivono anche a se stessi, come diceva Paul Éluard quando, parlando dell’impulso dell’artista, scriveva “le dur désir de durer”. E sono fantasmi, spiriti che vengono a trovarti anche dopo settimane, mesi, anni. Le loro domande ardono sempre di più, la loro stretta di mano continua a portarti in salvo, i particolari che ti avevano colpito, col tempo, si sono trasformati in universali. Impossibile liberarsi di certe scene, di alcuni personaggi, e se li ritrovi nella realtà è solo perché esistevano prima, sulla pagina – non “tratto da una storia vera”, è la storia vera che è tratta da Balzac, anche la più triviale; del resto chi ha raccontato la trivialità meglio di Balzac? Tutti a cercare il sublime, ma la verità è in una serata vile, in un mazzetto di banconote guadagnate al prezzo della dignità, nel disperato tentativo di dimostrare a sé stessi di essere Napoleone e non un insetto.

Il rapporto con la lettura dei grandi romanzi è sempre angolare, spesso fanatico. Di certo esclusivo: a lungo andare, un grande romanzo diventa il tuo carattere, il tuo costante interlocutore silenzioso. Leggere è non solo rispondere a un testo, è anche non smettere mai di farlo. A proposito di persistenza, trent’anni fa George Steiner scriveva “Nessuna passione spenta”, un saggio sulla lettura, sul leggere, sui lettori, su cosa facciamo di questa densità che ogni grande pagina ci regala. E sulla reciprocità culturale collettiva di un mondo che imparava a memoria versi di Omero, Virgilio, Ovidio e condivideva un linguaggio, rispetto alla condizione attuale, ormai irreversibile, di essere lettori a metà, lettori da treno, incapaci di ascoltare la metrica di una pagina, che è ’organizzazione dei sentimenti e delle cose. “La relazione del lettore col libro”, ci ricorda Steiner “è creatrice o non è”. La miglior scuola di lettura? Steiner non ha dubbi: “Una stanza silenziosa”.

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