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una Fogliata di libri

Qual è il tono della nostra epoca?

Michele Silenzi

Per rendere credibile un racconto, la voce (che sia scritta o parlata) fa tutta la differenza del mondo. Ma se a dominare è la chiacchiera, l'eterno conflitto simulato de La Zanzara diventa la sostanza stessa del nostro tempo, che si mostra come una grandiosa e grottesca impostura

Viviamo in un’epoca di stravolgimenti epocali, lo sanno anche i muri. Ma ce lo stiamo ripetendo talmente tanto che anche tutti questi stravolgimenti stanno subendo un processo di normalizzazione. Lo straordinario sta diventando ordinario. Ciò accade un po’ per tutti e tutto, ed è, allo stesso tempo, il segno del disastro della noia e della forza della sopportazione che affliggono ma salvaguardano tanta parte dell’esperienza umana. Eppure, alla nostra epoca, per essere davvero “stravolta” sembra mancare ancora qualcosa di decisivo. 

Questa rubrica si occupa di libri, ma più in generale di narrazione, e quindi di storie, di Storia, e del modo in cui tutto viene raccontato. Del resto, noi non siamo altro che i nostri racconti. La vita passata, quella presente e quella futura, per lo meno la vita umana, è narrazione: di ciò che è stato, memoria, di ciò che è, contingenza, di ciò che sarà, progetto. E questa narrazione fa tutt’uno con l’esistenza. C’è, però, una cosa che distingue una narrazione dall’altra: il tono. La voce, che sia scritta o parlata, in questo caso poco importa, fa tutta la differenza del mondo. La modulazione della voce, il tono che essa ha: allegro, brillante, cupo, umoristico, lento, noioso, veloce, convulso, riposante, comico, tragico, epico, etc. Per rendere credibile un racconto è fondamentale che il tono sia accordato con la storia che si racconta. Ecco, io non riesco a capire quale sia il tono della nostra epoca di stravolgimenti epocali. Probabilmente dovrebbe essere tragico, per via delle tremende guerre alle porte d’Europa, epico per i tamburi del riarmo che risuonano a Parigi, Londra e Berlino, farsesco e caotico per i venti che spirano dall’estremo occidente, setosamente minaccioso per l’incedere inevitabile della marea cinese di uomini e cose.

E invece il tono manca. Direi che domina la chiacchiera, ma sarebbe un modo superficialmente sprezzante di guardare la cosa. Forse, però, si potrebbe dire che domina la chiacchiera perché è la chiacchiera ad essere il tono dell’epoca, quello che si accorda alla nostra storia (e per nostra intendo quella di occidentali ragionevolmente al sicuro). L’epica e la tragedia, in teoria, sarebbero i toni più acconci a un’epoca di stravolgimenti epocali eppure non si sente neppure l’ombra di questi toni. C’è piuttosto la retorica, ma non si tratta di retorica celebrativa bensì di retorica armata delle buone intenzioni (sia quella della “pace, pace, pace”, sia quella delle future sfilate di missili sugli Champs-Élysées e di carri armati sotto la Porta di Brandeburgo – suona tutto un po’ posticcio.) 

Forse allora sarà il caso di pensare che non viviamo realmente un’epoca di stravolgimenti epocali perché, altrimenti, fiorirebbero, sotto qualche forma, lirici e tragici. Forse sarà il caso di pensare che il migliore esempio del tono dell’epoca, della narrazione del nostro tempo, il più cogente, e in un certo senso il più geniale è esemplificato da La Zanzara (di cui sono fedele ascoltatore): l’eterno conflitto simulato, la pretesa galleria di mostri innocenti in cui tutti possono sentirsi normali e attraverso cui tutti, ascoltandoli, possono sentirsi migliori. La ripetizione infinita, attraverso soggetti diversi, del medesimo che però apparentemente cambia ogni giorno, mutando la contingenza quotidiana. E ovviamente l’eterno intrattenimento! Cruciani e Parenzo giocano con il tono dell’epoca, lo riconoscono con lucidità nella chiacchiera e lo portano, come devono fare due artisti, spregiudicatamente al parossismo e al paradosso, mostrandolo, più o meno coscientemente per quello che è: chiacchiera appunto, dinanzi a qualsiasi evento, che può riassumersi in un “vabbè” e in un “avanti un’altra telefonata” (parodia di ciò che altri ammantano di compunta seriosità). Questo niente così rappresentato non è superficialità ma è la sostanza stessa del nostro tempo che si mostra come una grandiosa, e un po’ grottesca, impostura. E non c’è nulla di male, perché sembra non esserci altro: è questa la nostra voce, è questo il nostro ballo.  
 

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