Alessandro D'Avenia: l'amore ci salva, ma solo se ci perdiamo
Incontro con lo scrittore di "Ogni storia è una storia d'amore"
Milano (askanews) - La verità sull'amore, che veniva implorata anche da un poeta come Auden in una sua celebre raccolta, in questo libro non c'è. Ma "Ogni storia è una storia d'amore" di Alessandro D'Avenia contiene molti esempi di come si possa abitare la condizione amorosa, dal punto di vista di donne diverse e ognuna a suo modo straordinaria che hanno amato grandi figure delle arti e della cultura. La domanda che lo scrittore si pone, insomma è se l'amore ci salvi davvero, e per costruire la narrazione D'Avenia si è appoggiato al mito di Orfeo ed Euridice, che fa da cornice alle storie di Alma Hitchcock o Sylvia Plath, Ingeborg Bachmann o Zelda Fitzgerald.
"E' questo paradosso - ha detto l'autore ad askanews - in cui proprio quando noi ci perdiamo, allora l'amore potrebbe salvarci, quando rinunciamo all'amore come sicurezza ed entriamo nella dimensione dell'amore come salvezza, allora forse veramente ci salva".
Il titolo del libro di Alessandro D'Avenia, che esce per Mondadori, contiene, oltre che un rimando dichiarato a David Foster Wallace, anche un riferimento altrettanto esplicito, a nostro avviso, al mestiere stesso dello scrittore, che comunque non può fare a meno di amare - spesso, si sa, con turbolenze estreme - "ogni storia", o almeno ogni "sua" storia.
"Ciò che salva - ha aggiunto D'Avenia - è il raccontare stesso, cioè che noi diventiamo le storie che ricordiamo. Il fatto che il mito sopravviva nel tempo, in particolare quello di Orfeo ed Euridice che cerco di approfondire, ci dice una cosa molto chiara: noi abbiamo bisogno di questa rappresentazione dell'amore per dirci l'amore com'è, ma poi come tutte le narrazioni mitiche è fuori dal tempo e dallo spazio, e ci da una direzione su come la vita potrebbe o dovrebbe andare, ma poi nella vita di tutti i giorni i conti non tornano mai".
Non sono tornati neppure per Milena Jesenska, la ragazza cui Kafka indirizzò alcune delle sue più belle lettere, un amore, come scrisse lo stesso grande praghese, da "quattro giorni a Vienna", eppure allo stesso tempo chiaramente assoluto come pochi altri.
"Mi ha sempre colpito - ha concluso lo scrittore - questo fatto che Kafka paragonasse lei a un coltello che consentiva a lui di frugare dentro se stesso. E quindi una visione dell'amore totalmente priva di qualsiasi romanticismo, ma che va all'essenziale, cioè l'amore è sempre riconoscimento, il fatto di potersi conoscere attraverso gli occhi di un altro, e riceversi attraverso gli occhi di un altro. A volte è necessario che quest'altro abbia una funzione quasi chirurgica".
Che in un libro probabilmente destinato a essere un bestseller, come già accaduto ad altre opere di Alessandro D'Avenia ci sia una così grande dose di incertezza e, perché no, di contraddizione, è sia qualcosa di coerente con lo spirito stesso delle storie che racconta, sia una interessante prova del modo in cui non manca una narrativa italiana che tenti di svicolarsi da certi cliché, quasi sempre autoimposti, che non giovano al movimento e, se ce lo permettete, neanche ai lettori.
A cura di Askanews